Cicerone compose il “De Senectute” nei primi mesi del 44 a.C., in un periodo di forzata inattività politica – inattività impostagli da Giulio Cesare.

Fuori dalla scena, in quei giorni di solitudine e amarezza, il nostro ebbe tempo per stare con se stesso e riflettere su come avrebbe potuto rendere produttivi gli anni che gli restavano da vivere.

Questo saggio, che ha superato brillantemente la prova del tempo, è una serena risposta ai luoghi comuni sulla vecchiaia come morte anticipata dell’individuo. Per mezzo di Catone, Cicerone ci dice che, contrariamente all'opinione comune, la sera della vita può essere una fase felice dell’esistenza – almeno per quelli che, negli anni giovanili, hanno imparato ad esercitare la moderazione.

Non recensirò tutto il libro. Quello che qui mi interessa fare è citare le riflessioni dell’autore sulla lussuria. Sono parole sorprendenti e attualissime. Parole che i preti di oggi – anche quando si tratta di preti perbene – hanno paura di pronunciare:

"Non si pensi che io abbia dichiarato guerra al piacere, di cui esiste un certo limite imposto dalla natura. Piuttosto ho dichiarato guerra all’ossessione del piacere. A chi chiedeva a Sofocle se, ormai indebolito dagli anni, godesse ancora dei piaceri venerei, rispose: “Gli dei me ne guardino! Sono felice di essere sfuggito a queste cose come da un padrone zotico e furioso”. Quando il nostro padrone è la passione sensuale, non c’è posto per la temperanza e per la virtù. Non solo. La natura, o Dio, non ha dato all’uomo nulla di più grande dell’intelligenza. Bene: a questo dono nulla è così contrario quanto la lussuria. Niente più della lussuria – da Platone definita “l’esca di tutti i mali” – ostacola la riflessione, è nemica del senno, e odia tutto ciò che è oggetto di onore”.

A scrivere queste righe “perenni” non è un bigotto. È un grande pagano che sembra parlare profeticamente al mondo attuale. Un mondo che non crede più in Dio perché ha fatto del sesso il suo dio. E nell’essere umano ci può essere posto per un solo Dio.

Ma Cicerone non ci sorprende soltanto con il suo j’accuse alla divinizzazione della sensualità. Ci sorprende anche con il suo pensiero sulla morte:

“La morte può portare all’annientamento dell’anima oppure conduce l’anima in un luogo dove sarà eterna. Tertium non datur. Allora cosa dovrei temere se, quando mi addormenterò per sempre, non solo non sarò infelice, ma addirittura beato?”.

La verità non ha tempo. E neanche religione.

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