Di certezze, nella vita, ne ho davvero poche.
Una è che Cindy Lee Berryhill non abbia mai ascoltato «Nobody's Hero» degli Stiff Little Fingers o che non ne abbia afferrato il senso, in primis dell'esortazione «Get up, get out, be what you are». Perché altrimenti questo sarebbe stato uno dei dischi più freschi e divertenti degli anni Ottanta.
Mettiamo subito le cose in chiaro: è naturale che ogni musicista si porti dietro un bagaglio più o meno ingombrante di influenze, ma una volta che entri in uno studio di registrazione e ti piazzi davanti ad un microfono, quelle stesse influenze dovresti trasformarle in qualcosa che ti appartenga o, quanto meno, ti assomigli.
Soprattutto se, nel caso, le influenze rispondono ai nomi di Rickie Lee Jones e Patti Smith.
Partiamo da qui e da una ovvia considerazione. Vuoi creare una musica che riporti alla mente le sonorità dei tuoi idoli? Che ci vuole, si tratta solo di combinare sette note, se fosse così difficile non ci sarebbero in circolazione decinaia di migliaia di cover band che ogni benedetta estate affollano le imperiture sagre della birra e della salciccia e financo del fungo porcino.
Operazioni del genere le puoi fare senza grandi rischi se sei un piccolo fan di Vasco, Ligabue, i tardi Litfiba e simili.
Se lo vai a fare con artisti del calibro della Jones (per non dire dell'altra) il rischio esiste, eccome: perché, se non hai un talento ed una personalità fuori dal comune, rischi di cadere rovinosamente e di farti male per davvero; e finché lo fai nelle sagre paesane, vabbè, mentre se lo fai in un disco targato Rhino ...
Fuor di metafora, «Naked Movie Star» è il tentativo di creare qualcosa che ricalchi spudoratamente «Chuck E's In Love» con inserti di «(Bird)Land» sparsi qua e là (l'insostenibile «Yipee» è esemplificativa al riguardo).
Come va a finire la storia? Va a finire che Cindy Lee non ha le spalle abbastanza larghe per sopportare il peso di due divine come la Jones e la Smith: per cui se non hai mai ascoltato l'esordio di Rickie Lee o i primi due capolavori di Patti, magari «Naked Movie Star» lo trovi anche un bel disco; ma se per avventura a quei dischetti epocali hai prestato orecchio, allora di fronte a Cindy Lee non puoi far altro che sfoderare un sorriso di circostanza, invitandola a ripassare tra qualche secolo.
Disco da un pallino e mezzo, quindi, oppure uno, se sei di cattivo umore e giudichi arrogante e vanaglorioso il tentativo della Berryhill.
E allora, mi direte Voi, perché gliene hai dati tre?
Presto detto. Perché, per un attimo, Cindy Lee ha un momento di lucidità, dismette panni evidentemente non suoi e si presenta all'ascoltatore con il cuore in mano, armata di sola chitarra acustica e di una voce angelica, distesa su un tappeto sonoro quanto mai discreto ma per questo ancor più affascinante, e ci fa dono di «Indirectly Yours», una delle ballate più belle degli anni Ottanta, nient'altro che un brivido lungo tre minuti e trentasei secondi, ma destinato a ripetersi con immutata emozione e commozione ogni qual volta la puntina del giradischi approccia il quarto solco del vinile.
E allora la delusione cresce ancora di più, al pensiero che Cindy Lee «Nobody's Hero» non la conosca o non l'abbia compresa appieno, perché con un pizzico di personalità e di coraggio «Naked Movie Star» sarebbe stato uno dei dischi più freschi e divertenti degli anni Ottanta.
«Get up, get out, be what you are»: l'esortazione è sempre valida.
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