Il primo impatto rivela gran parte dell'essenza del disco: post-rock minimalista vagamente kraut-rock (ma anche poco vagamente, si potrebbe discutere). Due batteria, due chitarre, due tastiere, un basso: cosa fanno? Regalano un suono ipnotico, suonano canzoni individualmente segnate dallo stesso scanditissimo battito, creano melodie nitide, secche, sempre nettamente distinguibili tra loro, che non si fondono in un'unica creatura, ma volteggiano assieme. I finlandesi Circle adottano la filosofia dell'unico riff padrone, che assiduamente plasma accordi in progressione. Il disco è del 2000, ma la musica pare cronologicamente incollocabile.

Psichedelia incolore, tangibile, che levita e lievita, batte e ribatte. Asettico e spesso emozionalmente freddo, se fosse un oggetto sarebbe qualcosa di perfettamente liscio, e così la copertina è di gran ausilio nell'idea. Ripetizione, ma continua evoluzione: suonare questa roba potrebbe equivalere a risolvere equazioni iterativamente. Nulla di assolutamente nuovo, ma in ogni caso la butto lì figurando il disco come dei Tortoise privati di ogni vena emotiva, suonati da uno Steve Reich dentro l'astronave (ferma a terra) dei Loose.

Dico la mia nel caso vogliate far partire il disco: penso che concentrarsi su una musica così incessantemente ripetitiva, spoglia, essenziale non provochi grandi effetti, sarebbe forse meglio lasciarsela orbitare attorno. Detto questo, propongo due tra i possibili risultati dell'ascolto: agitazione o distensione. A parer mio, un lavoro che vive di un solido equilibrio tra pregi e difetti, di qualsiasi tipo.

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