Ora che il famigerato lampione di Ponte Milvio sul quale i Mocciosi hanno lucchettato il loro onesto amore adolescenziale è stato dichiarato pericolante e transennato, questa recensione capita proprio a fagiolo.
Sautet ci racconta la vicenda di un amore mai nato, forse perchè l'amore è solo un gioco di seduzione del quale si devono alla fine accetare le conseguenze, o forse anche perchè dell'amore l'unica cosa che valga è il desiderio. Comunque sia, "Un cuore in inverno" ha molto rispetto della forza misteriosa dell'innamoramento e non ne profana la segretezza scivolando su toni melò o patetici, lasciando invece molto spazio alla musica di Ravel e al silenzio di qualche sguardo.
Daniel Auteuil è Stéphane, un introverso liutaio che coltiva la lettura e la solitudine, socio in affari di Maxime (André Dussollier) che procura i clienti al loro piccolo ma rinomato laboratorio. Maxime è sposato ma non usurpa la fama di viveur e finisce per innamorarsi di una giovane e bella violinista, Camille, per la quale decide di abbandonare moglie e figli. Il terzo lato del triangolo viene tracciato dal regista nel bel mezzo di una prova musicale di Camille, alla quale assiste Stéphane e durante la quale un invisibile ostacolo le impedisce di concentrarsi sullo spartito. Prima è la semplice curiosità a spingere Camille verso Stéphane: lei così indipendente, ambiziosa, sicura di sé e del suo sex-appello (come direbbe Totò e domani sono quarant'anni che se ne è andato) si scontra contro il muro di riservatezza dietro il quale Stéphane s'è rifugiato da chissà quali paure. Poi l'interesse sfocia nella simpatia e nell'affetto, quasi materno, e quando Camille, infine, credendo di aver vinto la ritrosia di Stéphane, gli dichiara il proprio amore, lui, impassibile, lo rifiuta e le spiega che era solo una scommessa fatta a se stesso, quella di riuscire a sedurla. Camille, umiliata, conosce un lungo periodo di depressione dal quale uscirà totalmente cambiata e l'amicizia tra Maxime e Stéphane finirà in uno schiaffo.
Parallelamente a questa vicenda priva di lieto fine se ne svolgono altre tre che la arricchiscono e la chiariscono. Da una parte il giovane apprendista di Stèphane che, giovanissimo, si sposa; dall'altra la fuga di quella che è l'unica donna di Stéphane, la sua amica libraia, con un ricco viticoltore. E al centro la straziante storia del suo insegnante di violino, amico di una vita e quasi padre adottivo, sofferente di un ineluttabile tumore cerebrale, che Stéphane aiuterà a morire. Pirandello ci entra ma è lo spirito di Lermontov (da un suo racconto è ricavata la sceneggiatura) a pervadere la pellicola. Se l'amore esiste deve fare i conti con questo film. E se esiste l'amore si regge su un filo sottilissimo che non bastano lacrime e richezza, sesso e sbaciucchiamenti, figli, fedi o sciocca intimità a rinforzare, tanto è in continuo scacco della disillusione.
Inutile dire che il cuore in inverno è quello di Stéphane, uno dei migliori Daniel Auteuil di sempre. E che la Béart è meglio della Bardot, se proprio dobbiamo scegliere un'icona del cinema francese.
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