A dire la verità manco da Debaser da un bel po’, a causa di vicende personali e – confesso – un poco di irritazione per qualche atteggiamento non proprio musicale, né particolarmente corretto, che ho letto in risposta a quanto scritto non solo da me. Ma l’ascoltatore onesto ed impegnato non demorde, e la sfida è stuzzicante, per cui mi trovo oggi con la voglia di rispondere provocando. Nel 1986 avevo 21 anni e come per tanti coetanei gli ascolti erano seriosi (King Crimson) o liberatori e scatenati (Led Zeppelin), viaggi dentro dimensioni stellari (Pink Floyd, Yes) o incursioni nel jazz-rock, nel krautrock, nell’elettronica e nell’avanguardia. All’estremo opposto di tutto questo c’era ovviamente un certo Claudio Baglioni, dal momento che di altri musicaroli di poco respiro e nessun talento non ci si occupava neppure per criticarli (che so, Gianni Togni può valere per tutti). Questo Baglioni aveva voce notevole per ampiezza e timbrica, assolutamente inadatta alla musica rock, ed aveva un certo talento armonico nella composizione, non limitandosi a quattro accordi in croce (ma quanti capolavori hanno quattro accordi o meno) bensì armonizzando ogni passaggio com’è solito fare chi compone al pianoforte. Il problema insuperabile e gravissimo stava in una sciagurata scelta tematica e stilistica, perché il Claudio s’era dedicato anima e corpo (nei politicizzatissimi anni Settanta!) quasi esclusivamente alle lagne romantiche che affascinavano le pischelle, a storie di fregature affettive che persino Liala si sarebbe vergognata di narrare con tanti luoghi comuni, a celebrazioni personali ed autoreferenziali che avrebbero reso antipatico pure Hendrix (ad un certo punto Baglioni s’era davvero montato la testa di brutto, dall’alto del successo divistico e dei milioni di copie vendute). Avendo regolarmente schifato il Nostro per una decina d’anni, fui incuriosito dall’uscita in quell’86 di un suo live addirittura triplo, manco fosse David Bowie, per di più eseguito per sola voce e strumento d’accompagnamento, di volta in volta pianoforte, tastiera o chitarra, aiutato da un sequencer MIDI che operava in tempo reale grazie ad una notevole regia sonora sul palco. La formula era scandalosamente intrigante, degna degli esperimenti vocali di un Peter Hammill, per cui ebbi voglia di ascoltare questa celebrazione onanistica che preludeva (non lo si sapeva) ad un'altra ventina almeno di dischi live in stile Dick’s Picks.

Ebbene. Oggi come allora ascoltare Baglioni mi provoca più o meno l’orticaria, soprattutto per i melensissimi arrangiamenti mainstream pop che in Italia affliggono un po’ tutti i cantanti nazionalpopolari, ma il documento di quel tour senza band e senza arrangiamento resta una perla inattesa e stupefacente nella sua discografia. Eseguite senza fronzoli, con pochi applausi durante i brani ed in questa insolita forma quasi “da camera”, sovente in medley e sapientemente accostate a sposare periodi ed influenze diverse, molte tra le migliori canzoni di Claudio Baglioni si rivelano assai più complesse e godibili e riescono a trasmettere un’atmosfera intima e raccolta, e si moltiplicano le improvvisazioni anche perché non c’è un gruppo e Claudio fa di minuto in minuto quello che gli gira, e si scopre essere più istintivo del previsto. Le note si fanno ascoltare tutte e lui – inaspettatamente, almeno per me - se la cava egregiamente nel suonare e nel cantare, si scoprono insomma temi e trame musicali interessanti e la voce diventa protagonista assoluta, e qui non c’è mistero, lo sapevamo che le ottave ed i virtuosismi c’erano. “Assolo” è un ottimo live, accostabile a certe performance di Billy Joel o del migliore Elton John (penso a 17-11-70, ovviamente) pur se nell’ambito musicale oggettivamente ristretto dei cantautori italiani rispetto , con qualche rara e notevole eccezione. E se è vero che man mano che il megadisco scorre le palle scendono non poco, e l’opera si dimostra consumabile solo a tappe o selezionando l’ascolto, in realtà è la formula a dimostrarsi vincente: un cantante con voce adeguata e repertorio potenzialmente interessante, se vivisezionato ed offerto a crudo, può stupire con un recital sentito, partecipato e sofferto, talvolta a sproposito (in considerazione dello scarso valore reale di alcune composizioni e di molti testi) ma sempre in modo molto sincero e percepibile come tale. Spogliate dalla voglia di classifica e vestite da camera, con qualche variazione jazzata e non pochi impromptu, non sono poche le canzoni di Claudio Baglioni che dimostrano di potere essere piccoli haiku, bonsai di romanticismo che perdono però del tutto la caratteristica di piagnisteo che pure ne ha decretato il successo. In definitiva un’idea geniale nel suo percorso musicale, che ricadde subito nella dimensione piatta di arrangiamenti sempre più plastificati e testi sempre più ad effetto, mentre la voce e l’ispirazione anno dopo anno calavano naturalmente. Oggi Baglioni è francamente inascoltabile, al punto più basso della sua non esaltante carriera musicale, ricca di successi ma di scarsa media artistica, e continua a far uscire documenti live poco ispirati e dischi in studio che fanno schifo (il Christmas Album) o passano giustamente inosservati, per quanto le cagate degli Amici di Maria siano ancora peggiori. ”Assolo" si conferma dunque opera unica ed isolata, che ho spesso il piacere di ascoltare come si ascolta Toots Thielemans o Astor Piazzolla.

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