Tanto per completare la 'trilogia esistenzialista' dei primi anni di Lolli, che anticipa due buoni episodi come 'Ho visto anche degli zingari felici' e 'Disoccupate le strade dei sogni'. Siamo al secondo LP, 'Un uomo in crisi'.

Non sempre un artista si espone al meglio con il primo lavoro, non sempre riesce a condensare l'espressività di tutte le esperienze che hanno preceduto l'opportunità di incidere in una decina di canzoni le emozioni ed il disegno che di sé e della sua opera, della sua poesia, ha in testa. Lo vediamo con esempi illustri, tutti sono partiti con almeno un paio di album minori, utili per indirizzarli, renderli più esigenti e comprensibili.

Lolli brucia un pò le tappe, non avrà mai un decennio di capolavori, come altri suoi colleghi, né un vero e proprio tentativo di tornare ai fasti dei '70. Dopo gli '80 lo vedremo pubblicare dischi di inediti sempre più raramente, pubblicandone uno a distanza anche di quasi un decennio dall'altro.

Se in 'Aspettando Godot' qualcuno trova un autore già conscio di sé, con delle scelte poetiche e musicali già importanti, non mi trova d'accordo. Lo stesso vale per questo LP, il secondo, che di un episodio comunque più che ben riuscito come 'Aspettando Godot' è l'ombra, quasi lo scarto.

Le analogie evidenti le ho espresse già nella recensione del primo LP, che seppure simile (troppo) a questo, per musicalità, atmosfere, metrica e anche etica, risulta essere decisamente migliore. Discorso a parte merita il terzo LP, 'Canzoni di rabbia', il più riuscito.

Insomma 'Un uomo in crisi' non ha molto da dire a chi conosce Lolli, e che, lasciatosi dietro le considerazioni nichiliste e gucciniane dei primi due LP, si godrà di più alcuni episodi successivi. Ed anche Lolli ha poco da dire, torna sui temi del precedente quasi in ogni brano, con l'aggravante di avere già dieci brani alle spalle, non tutti bellissimi. L'album si apre e chiude con due buonissimi episodi, 'Io ti racconto', quasi un medley dei motivi del Lolli, in cui ogni verso è scandito in maniera veloce e paranoica, quasi un manifesto per l'autore; e 'La giacca', dove le considerazioni sono fini a sé, basta ascoltare la poeticità del testo.

Salvi questi due brani, di certo tra i migliori della sua intera opera, si salva poco. I brani possono scuotere, per le soluzioni sempre negative e le atmosfere suggestive, ma, dopo qualche ascolto lasciano il tempo che trovano quasi tutti. Non voglio bocciare ogni brano, ma, un pò come l'album precedente, ma in maniera maggiore, questo risente della poca ispirazione, dell'ossessività di concetti di per sé non originali e neanche facili da ascoltare. L'album è strutturato in due lati, come quello che seguirà, qui è diviso in canzoni di 'morte' e di 'vita'. Dei brani singolarmente c'è poco da dire, l'idea dell'autore sulla realtà l'abbiamo già chiara e, se 'Aspettando Godot' poteva contenere bellissimi testi e subire un pò di ripetitività, questo si salva più difficilmente, anche se ha diminuito il numero delle tracce (scelta giusta).

Amo molto Lolli, ma forse, pur avendo pubblicato pochi album rispetto alla produzione enorme di, che so, Vecchioni, ha avuto molta meno autonomia, non molta capacità di reinventarsi. Le sue cose migliori vanno cercate nella schiettezza dei temi più umanistici e, spesso, cupi. Tutte cose in cui Guccini lo ha sempre fregato di un paio di spanne. Questa trilogia, che sarà chiusa con 'Canzoni di rabbia', non ci lascia album degni di nota, ma parecchie canzoni bellissime, e senza dubbio qualche capolavoro lo individuerete anche voi tra i quasi trenta brani che fanno da anticamera al tanto stimato e popolare 'Ho visto anche degli zingari felici'.

P.S. la copertina, porco cane, che disagio, ragazzi! 

Carico i commenti...  con calma