Come suonano lontane le note introduttive di quest'album.
Lontane nello spazio, esotico e misterioso intreccio di percussioni tribali e corde mediorientali... lontane nel tempo, con quel sapore tipico delle pietanze cucinate negli anni settanta, dove ogni ingrediente era un dono che la terra faceva all'uomo per nutrirlo e sostenerlo, come una grande madre a cui abbiamo girato le spalle convinti di esser diventati adulti, per cui non più bisognosi delle sue attenzioni.
Ci sappiamo fare da soli... ma questo è un gigantesco sbaglio, un abbaglio che le luci colorate delle insegne luminose hanno provocato al nostro sguardo interiore. "Volo Magico no. 1" ci trascina gentilmente ma vigorosamente attraverso i meandri di noi stessi, si contorce nella mente come un serpente e proprio come un rettile si insinua in ogni anfratto dei nostri pensieri impossessandosene e trasformando i ricordi in un caleidoscopio di immagini e sensazioni, che temevi perdute alla luce del giorno, quelle sensazioni tipiche degli anni settanta, che se pur bambino hai avuto la fortuna di vivere, la dolcezza dei ricordi impressi sulle Polaroid con quei colori un po' opachi (e molto poco glamour) che avevano quegli anni. 18 fantastici minuti di puro folk-psichedelico, aria buona che ti riempie i polmoni ed ha pure la sforza di scuotere i tuoi sensi, percuotendoti le corde nervose come i martelletti percuotono le corde del pianoforte agitati dai tasti di ebano e avorio che sembrano cedere sotto i frenetici colpi inferti loro dalle dita che ruotano impazzite nell'aria... in un finale da mozzarti il fiato.
Lo stesso pianoforte che morbido e solitario sostiene la voce di Claudio, ricordarci di come "La Realtà Non Esiste"; non esistono le certezze che ogni giorno ci vengono propinate e neppure le nostre più ferme convinzioni sono così sicure e durature; un toccante e tenero poema hippie, che certo suonerà un po' naif (nella migliore delle occasioni) al razionale e "freddo" ascoltatore del nuovo secolo, ma che forse potrà regalare anche a lui un attimo di pace. E se ancora non siete soddisfatti delle emozioni ricevute, una volta girato il disco ed aver appoggiato la puntina nel microsolco, preparate il vostro spirito attraverso un viaggio extra-corporeo nel quale si può partire veramente solo dopo essersi spogliati di ogni consapevole raziocino... "Giusto Amore" è un'incredibile suite lisergica, nella quale Rocchi si lascia trascinare in questa improvvisa esplosione di parole dalla magica circolarità della chitarra di Alberto Camerini, parole che nascono, prendono vita in quello studio, in quell'attimo preciso del 1971... impresse sui nastri direttamente dai neuroni certamente alterati dell'artista milanese, forse a voler (in)consciamente spiegare ad i suoi vecchi compagni Stormy Six il motivo, urgente, del suo abbandono... del suo "tradimento" alla causa.
Un'esigenza viscerale ad esplorare maggiormente i meandri tortuosi dell'incoscienza psichica rispetto a quelli più sicuri e valorosi della razionale coscienza (anche quella di classe). Ma non preoccupatevi, forse non ci troverete questi argomenti nella poesia di Rocchi, forse ci troverete proprio quei pensieri che state così disperatamente cercando, cedendo le proprie forze all'oblio del sonno cullati dalla voce di Claudio che ci sussurra la più bella ninna-nanna mai scritta per persone che credono di essere diventate adulte, dimenticando di essere stati bambini. "Tutto Quello Che Ho Da Dire".
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