Clint Eastwood è come il vino: più invecchia meglio è.
Già, perché sarebbe da tributare un lungo applauso al rude Clint: da pistolero senza paura e senza passato per gli spaghetti - western di Sergio Leone, al Callaghan spietato accusato di fascismo, fino alle regie pulite e asciutte (poco americane, molto europee) degli ultimi vent'anni. Con qualche sbavatura, ma con molti capolavori girati quasi per caso, passati spesso nei cinema senza che nessuno si accorgesse di nulla. Poi ogni tanto, quei bei tomi dell'Academy pensano bene di regalargli un po' di Oscar ("Gli spietati", "Million Dollar Baby") salvo poi, per qualche annetto, scordarsene completamente.
Resta un mistero il mancato Oscar ad un capolavoro come "Un mondo perfetto" (in cui addirittura Kevin Costner sembrava un attore decente), anche se, ancora più clamorosa è la svista, targata 1988, con cui l'Academy decise di snobbare senza se e senza ma "Bird", registicamente, il più grande film di Clint Eastwood.
Se da queste parti dovesse bazzicare qualche accanito jazzofilo che, per mille motivi, ancora non ha visto "Bird" faccia mea culpa sul pubblico suolo e la smetta di definirsi jazzofilo. "Bird" è un film musicale, ma non è un musical. Ogni inquadratura però trasuda musica, dalla disperazione del jazz clandestino alla fine di una vita stroncata con un ultimo grande acuto musicale. Le vicende che accompagnarono la triste vita di Charlie Parker, detto Bird, raccontate come mai nessun documentario o libro aveva fatto. Un qualcosa che trascende il concetto stesso di cinema, una biografia dettagliatissima, a metà tra la tragedia e la celebrazione, il tutto con un rigore e un formalismo assoluto, con le pagine di una vita capaci di alternarsi a grandi estemporanei momenti di poetica musicale.
Film che al di là delle vicende prettamente parkeriane, racconta anche l'America, quella fondata sul razzismo, dalle diffuse difficoltà economiche, dei ghetti e delle lunghe strade che portavano (forse) verso il futuro. E' in questo mondo, non propriamente sognante, che si incastrano le vicende umane e personali di Charlie Parker (interpretato, magnificamente, dall'eterno sottovalutato Forest Whitaker), ma Eastwood vuole stupire, e manda a quel paese la cronologia, preferendo raccontare la storia di Parker attraverso libere associazioni, partendo dalla fine per arrivare al principio, per rimescolare di nuovo le carte e aggiungere fatti nuovi, quasi a voler tenere desta l'attenzione dello spettatore, giustificando così una durata che potrebbe sembrare esagerata (quasi tre ore), ma che in realtà, per una volta, sembra anche troppo poca.
Che Eastwood sia un regista di classe lo si sapeva, ma che fosse capace anche di slanci quasi filosofici, francamente, era impensabile. E se l'inizio già di per sé stupisce per profondità di pensiero (è la celebre epigrafe di Scott Fitzgerald, "Non c'è un secondo tempo nella vita degli americani", ad aprire il film) ad entusiasmare sono i grandi momenti di vita quotidiana (esemplare il tentativo di suicidio) che scuotono e mettono i brividi per come vengono congegnati: pochissimi movimenti di camera, una staticità quasi inquietante, in cui tutto è ben visibile, senza nascondere o togliere nulla. E non si piange (perché il patetismo non fa parte del vocabolario eastwoodiano), al limite ci si commuove, che è ben altra faccenda.
Interessante anche il lavoro d'introspezione psicologica del personaggio Parker, un lavoro eccellente che si deve sia a Clint Eastwood sia a Joel Olianski, autore della sceneggiatura (una delle migliori degli ultimi vent'anni). "Bird", come ricordato all'inizio, venne snobbato dalla critica, salvo poi rivalutarlo in seguito, e dal pubblico, che nel 1988 preferì ripiegare su "Rain Man" (decisamente più popolare). Poco male: a Eastwood non è mai interssato girare film per le masse (è chiaro, se il successo arriva è meglio, ma non è il suo obiettivo principale), ma girare film per chi, anche nei reaganiani anni Ottanta e poi nei successivi freddi anni Novanta, sente ancora il bisogno di emozionarsi davanti ad un film pulito, gentile, asciutto. Qualcosa di più di una rarità.
Nonostante ciò, "Bird" all'epoca scatenò diverse polemiche. In primis fra i jazzofili più incalliti. L'accusa mossa a Eastwood fu quella di avere manipolato diversi brani con sovraincisioni elettroniche (può darsi, non ne so molto di musica, ma quella suonata nel film mi sembra ottima), ma l'accusa forse meno preventivata fu quella targata Spike Lee. Il regista afroamericano accusò Eastwood di essersi appropiato di una cultura (quella nera) di cui non faceva parte. Ora, non voglio prendere le difese di Eastwood, ma lezioncine di morale di questo tipo mi sembrano semplicemente gratuite: non ho mai considerato Spike Lee un genio, né credo abbia mai girato un vero capolavoro, e credo che questo "Bird" sia superiore anni luce (anche da un punto di vista sociale) a quel polpettone indigesto di "Malcom X". Da ciò si evince che Spike Lee meno parla e meglio è.
Detto questo, "Bird" rimane un capolavoro. E Clint Eastwood rimane un ottimo regista. Cupo, piovoso, scuro, penetrante: un grande regista.Carico i commenti... con calma