Walt Kowalski è un operaio della Ford in pensione. E' americano - di origini polacche - ed ha fatto la guerra in Corea. Walt Kowalski è un reduce, un sopravvissuto.
Walt è un tipo scontroso, razzista. La guerra di Corea gli ha lasciato dentro più di una ferita. Odia gli asiatici, e poco gli importa se il "muso giallo" che gli si para davanti è coreano o meno. E sono proprio asiatici i suoi nuovi vicini di casa, cui si rivolge con diffidenza e disprezzo. Sono dei Hmong, gruppo etnico proveniente dalle regioni della Cina meridionale e dell'Asia sud-orientale. Ce ne sono un bel po' negli States.
Siamo negli Stati Uniti d'America dunque, e quello di Walt è un quartiere difficile. Da quando la moglie se n'è andata, deceduta, vive da solo. Né ha un buon rapporto con i suoi familiari. I figli sono due stronzi, estimatori di automobili giapponesi (uno è persino commerciante in automobili del Sol Levante, con grande disappunto del padre) e desiderosi di sbatterlo quanto prima in un "ospitale" ospizio. La nipote non vede l'ora di vederlo rinchiuso, o morto, per mettere le mani sulla sua vecchia automobile, una Ford Torino del '72.

La Ford Torino è un'automobile prodotta dalla Ford negli anni '70 unicamente per il mercato a stelle e strisce. E' la macchina di Starsky e Hutch, per intenderci.
Walt ne possiede una del 1972. Si vanta di averla costruita lui stesso e tiene a quella automobile forse più di ogni altra cosa al mondo.

Walt Kowalski è ammalato e fa una vita di merda. Non ha nessuno al mondo e passa le sue giornate a bere birra in lattina in veranda. Non riesce a smuoverlo un giovane prete, un qualunque "ventisettenne che si eccita a tenere la mano di vecchie timorose di dio promettendo loro l'eternità", che, animato da buone intenzioni e vincolato ad una promessa fatta alla moglie di Walt, cerca di intrattenere con lui un dialogo. Walt ci tiene a mettere le cose in chiaro: per lui, per il prete, è "il signor Kowalski".
Sarà la Ford Torino a fare in qualche modo da pretesto, da tramite che porterà Walt a vincere le sue diffidenze e redimersi.
Kowalski capisce di avere molto più in comune con i suoi vicini asiatici che con i suoi parenti più stretti. E' così che nasce un forte legame tra Walt e i due giovani Hmong Sue e Thao. E' in particolare con Thao, ragazzo difficile e un po' "tardo", che Kowalski instaura un rapporto speciale, paterno. Cercherà in tutti i modi di strappare i due ragazzi dalla realtà difficile cui sono destinati.

"Gran Torino" è un film drammatico, dai marcati contenuti ideologici e didascalici. A tratti violento se è vero che per buona parte del film non ho fatto che pensare a Paul Charles Bronson Kersey nelle sue vesti di giustiziere.
Kowalski è Clint Eastwood. In una "confessione", con tanto di immancabile birra, faccia a faccia con il prete discorre del significato della vita e della morte. Ne sa ben poco della prima, molto della seconda. Ha peccato, ha ucciso in Corea, non ha saputo creare un rapporto con i suoi figli. E' anche colpa sua. Diviene così la redenzione il tema portante del film.
Redenzione che va di pari passo con il tema dell'integrazione e dell'accettazione e comprensione del prossimo, poiché l'America dove si svolgono i fatti è un paese multietnico, multirazziale. A tratti degradato, e dove c'è degrado il contrasto sociale non può che essere più forte.
Eastwood non ha paura di spezzare la trama, di lasciare che la narrazione quasi si interrompa per prendere pieghe di volta in volta diverse e inaspettate, non ha alcun interesse nel raccontare una storia essenziale e fine a sé stessa. Vuole raccontare uno spaccato di vita del suo paese, di come questo cambia e che più le cose cambiano più restano le stesse, ma che ogni tanto si può anche tornare sui propri passi e rendersi conto d'aver sbagliato. Anche se si è vecchi, soli e senza aver nulla da perdere.

Vecchi? Chiedo scusa. In realtà il buon vecchio Clint è in forma smagliante. Basta guardarlo negli occhi e vederlo accendersi l'ennesima sigaretta per capire che è sempre lo stesso, che il tempo passa, ma lui ha ancora qualcosa da dire. E spesso per farlo neanche ha bisogno di dover aprire la bocca. Prepara tre casse, Piripero.

 

Facciamo quattro.

 

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