Dopo "Bird" (1988) e "Invictus" (2009), Clint Eastwood torna a dirigere un biopic, questa volta sulla controversa figura di John Edgar Hoover, capo indiscusso dell'FBI dal 1924 al 1972. Un personaggio conosciutissimo all'epoca, vera e propria istituzione, probabilmente più della sua FBI. Un conservatore incallito, avverso a qualsiasi forma di "comunismo", di radicalismo e di ideologie rivoluzionarie o comunque anti patriottiche. Un gerarca dell'ordine, lavoratore instancabile e dissoluto su cui si sono sviluppate nel corso degli anni diverse voci: si riteneva che facesse spiare i politici, che l'attività dell'FBI mirava alla distruzione dei movimenti degli afroamericani. Insomma, un personaggio a tutto tondo, che riportato in auge dall'ormai ultra 80enne Eastwood è tornato a far parlare di se.

La figura di Edgar è stata impersonata da Leonardo Di Caprio, che dal 2002, a partite da "Gangs of New York" ha iniziato un miglioramento a dir poco notevole che lo ha portato in pochi anni ad essere il protagonista di produzioni importanti tra le quali vanno ricordate "The aviator", "The departed", "Revolutionary road", "Shutter island" e questo "J. Edgar", totalmente o quasi giocato sul lavoro di Di Caprio stesso. Egli compie un lavoro attoriale mastodontico, dovendo interpretare Edgar nei quasi 50 anni che vengono raccontati, districandosi tra la giovinezza spavalda, l'apice della potenza e infine la vecchiaia. Su questo Eastwood gioca molto, perchè non racconta la storia nel suo sviluppo cronologico preciso ma va continuamente avanti e indietro lungo la vita del capo dell'FBI, movimentando (si fa per dire) quella che altrimenti sarebbe stata una pellicola ancora più "lenta" di come è stata poi concepita.

La lentezza è il difetto princiaple della pellicola di Eastwood: un problema che ricorre spesso quando si racconta la storia di un personaggio realmente esistito. Le scene di "azione" sono ridotte all'osso: "J. Edgar" risulta essere un film di attori, alle prese con lunghi dialoghi. Su tutti si erge Leonardo Di Caprio, con una prova da Premio Oscar, ben sostenuto dal suo braccio destro Clyde, interpretato da un altrettanto sorprendente Armie Hammer. Eastwood ci mette del suo a rimanere impersonale, al di fuori, con una regia puramente nel suo stile: classica, mai invadente, che si limita ad essere occhio e scrutatore degli studi, degli uffici che compongono le location del film.

Sebbene quindi un'immobilità di fondo che rende "J. Edgar" un film a tratti estremamente pesante, nulla si può dire sul prodotto finale: Clint Eastwood e Leonardo Di Caprio sono riusciti a tratteggiare con minuziosità un personaggio di un certo spessore, esaltandone il lato più prettamente utilitarista nella prima parte, per passare nella sfera privata nella seconda metà del lungometraggio. In un crescendo di emozioni ed espressività si arriverà ad un finale annunciato ma riconciliante, che mostra il rapporto complesso ma profondamente unito di Edgar e Clyde.

Indubbio dire che Clint Eastwood nella sua lunga carriera da regista abbia fatto meglio, ma questo non intacca il valore comunque qualitativamente alto della sua ultima fatica. Eastwood ha intrapreso un viaggio all'interno delle ideologie americane che ne hanno influenzato il corso dell'ultimo secolo, così come in passato aveva affrontato la personalità gigantesca di un uomo come Nelson Mandela. "J. Edgar" è un film difficile a causa della sua possenza tematica, ma proprio per questo risulta essere ancora più solido e strettamente legato al suo autore.

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