C'è chi ama le colonne sonore fragorose e roboanti, che si fanno notare.

Io sono fra quelli che credono che in un film la musica debba strisciare inosservata fra le pieghe della storia, lasciandosi dietro un languido aroma, e non una pioggia di note appuntite come spilli come spesso accade nelle produzioni americane moderne. Una concezione simile sarà pure espressione di un limite personale, ma tant'è. Del resto poco del cinema moderno mi piace.

"Million Dollar Baby", da parte sua, non è certo un capolavoro, ma innegabilmente è un bel film. Un bel film impreziosito da una colonna sonora sensazionale, scritta interamente dal leggendario Clint Eastwood, che si dimostra una volta ancora compositore eccellente e sopraffino. Affidandosi ad una formazione acustica minimale, con archi, pianoforte e chitarra acustica, il duro di Hollywood compone una musica sussurrante, eterea, pervasa da un'aroma di soave tristezza, con un magistrale bilanciamento di pieni e vuoti, di suono e silenzio.
Le sette note schizzano fuori dal pentagramma per ricomporsi in un'immagine soffusa, atemporale. Un pudico sorriso che lascia senza fiato, che prende con prepotenza senza esserlo, che innamora e fa sognare con la sua grazia. Il resto è qualcosa che evidentemente non si può spiegare, solo provare.

Tecnicamente parlando, non è difficile individuare due leit-motiv ricorrenti, entrambi semplici, elementari, ma anche- in virtù di queste particolari caratteristiche- di grande impatto emotivo: lo splendido fraseggio acustico della opening track, disarmante nella sua innocente bellezza, e la semplice sequenza al pianoforte del frammento immediatamente successivo, con reminiscenze chapliniane secondo me evidenti - si pensi in primo luogo alla celeberrima colonna sonora del film "Limelight".
Questo espediente, lungi dal rivelarsi un limite strutturale, consente al compositore di conseguire la più che desiderabile unità nella varietà stilistica che contraddistingue l'intero soundtrack: la musica infatti naviga con estrema disinvoltura tra le (largamente dominanti) atmosfere ambient minimaliste per la serie "Brian Eno docet", e una dimensione decisamente più ruspante, che ha come portabandiera l'irresistibile "Boxing babe", dall'andatura rhythm and blues, e la soffice "Blue Dinner", pezzo estremamente levigato e sobrio che mostra l'indomita passione di Eastwood per la musica del Delta.

Un merito in più del regista americano è dunque quello di essere riuscito, con una maestria sorprendente, ad incastonare le varie gemme in una pietra preziosa policromatica di straordinaria classe e gusto impressionista. E in effetti, più che con una colonna sonora, sembra di avere a che fare con un quadro di Monet: "Garden at Sainte-Adresse", il mio preferito, o "Coquelicots", o, per chi ama la pura estasi bucolica e il naufragio nel mare delle emozioni sconfinate, "Water Lilies (The Clouds)" o "The Bridge at Argenteuil".

E mi viene da pensare: è incredibile come il bello possa rendere felici.

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