Un affresco desolante della società d’oggi: Mystic River
Il caro vecchio Clint Eastwood, autentica icona dello spaghetti western, un duro e puro del passato, ci ha abituati ormai, negli ultimi anni, a sorprendenti risultati dietro la macchina da presa. Il dittico “Flags of Our Fathers” e “Lettere da Iwo Jima” è solo l’ultimo episodio di una serie di ottime pellicole da lui dirette, tra le quali svettano l’acclamato “Million Dollar Baby”, il commovente “Un Mondo Perfetto” e “Mystic River” appunto.
Si tratta di un film di grandissimo spessore, senza mezzi termini, asciutto e pungente, a tratti gelido nel raccontare la quiet disperation, per dirla à la Pink Floyd, che sgretola le esistenze di tre normali bambini – diventati poi uomini – di Boston.
Jimmy, Sean e Dave giocano per le strade del loro quartiere; sono tre ragazzini comuni, che vivono la loro esistenza nell’apatia e nel grigiore delle zone più degradate della città. E come tutti i ragazzini combinano delle bravate; un giorno decidono di lasciare le loro firme su del cemento fresco. È l’inizio della fine; due loschi figuri, fingendosi poliziotti, portano via Dave e, segregatolo in un oscuro scantinato, approfittano di lui per diversi giorni. Il ragazzo riesce poi a scappare, ma la sua esistenza è segnata per sempre.
La vicenda infatti si sposta a circa venticinque anni dopo. Il fatto che la scatena è l’omicidio di Katy, la figlia diciannovenne di Jimmy, divenuto ora, dopo trascorsi malavitosi, un commerciante. Ad indagare su tale morte è Sean, ora detective. Inutile sottolineare la drammaticità della situazione. I due infatti, dopo la traumatica giovinezza, si erano persi di vista. È dunque il dolore a riunirli. Ma non solo; Dave, il terzo amico, quello che non ha mai avuto una giovinezza, diventa, a causa di alcune ferite ed incongruenze cronologiche, uno dei principali sospettati. È la violenza che fa rincontrare i tre amici d’infanzia; l’ineluttabilità del dolore permea la vicenda, facendole assumere toni marcatamente scuri ed esasperati.
È questo intreccio di sospetti e tensioni ad alimentare lo sviluppo del thriller che assume, per buona parte della sua durata, nette sfumature psicologiche. In uno scenario così complesso svetta la prova maiuscola di tutti gli attori. I vari personaggi posseggono, fin dall’inizio, una cifra caratteriale ben definita ed articolata. Ma tale profondità sarebbe facilmente andata persa se gli interpreti non fossero stati all’altezza. Fortunatamente non è così. Sean Penn è Jimmy, padre dilaniato dal dolore, ma capace di affrontare la realtà con una lucidità incredibile. Le sfumature di espressione sono a tratti da brivido, così credibili e potenti da coinvolgere profondamente lo spettatore. Premio Oscar 2003.
Dave è interpretato da un magnifico Tim Robbins che esprime perfettamente la personalità corrotta di un uomo consumato dal fiammante rancore verso chi gli strappò prematuramente l’innocenza. Una persona ossessionata dal pensiero di quei “vampiri” che uccisero la sua anima. Premio Oscar 2003. Quando poi i due dialogano, il risultato è ancora più toccante. Da una parte il dolore e la rabbia, dall’altra l’insicurezza e la paura di essere sospettato. Ne scaturisce un flusso di catarsi e commozione, avviluppato in una profonda sensazione di incomunicabilità e solitudine; niente è destinato a risolversi per il meglio. Ognuno affronta la propria battaglia da solo.
La parte di Sean, anch’essa non semplice, è affidata a Kevin Bacon. È un personaggio che lotta con la sua ferma convinzione dell’innocenza di Dave, ma deve affrontare il cinismo del suo collega (Laurence Fishburne), fermamente convinto della colpevolezza di quest’ultimo.
Ora, se non avete visto il film, vi consiglio di farlo prima di andare avanti a leggere.
Il tema del dolore è centrale e fondamentale. L’atto violento non si conclude mai in sé, ma si porta sempre dietro degli strascichi. Un modo per dire che la violenza porta altra violenza. Ma Eastwood non ci permette di capirlo fin da subito. Per buona parte del film lo spettatore crede che Dave sia davvero il colpevole. Solamente negli ultimi minuti scopriamo che le ferite sulle mani e sulla pancia di Dave sono state causate dalla colluttazione con un pedofilo che stava violentando un ragazzo.
Quando lo scopriamo, il rammarico è enorme. Il seme malefico che venne piantato decenni prima è germogliato in un nuovo terribile atto di violenza.
Tuttavia, questa uccisione non esaurisce la negatività quasi tormentatrice dal male. Infatti nel finale ci attende un bagno di sangue clamoroso. Mentre Sean scopre i veri colpevoli dell’omicidio, Jimmy, in seguito ad alcune dritte, erronee, della moglie di Dave, decide di uccidere il vecchio amico.
È un finale tragico, in cui la violenza sommerge tutto, distruggendo l’esistenza di persone innocenti.
Ci viene mostrata con una freddezza lancinante l’impossibilità di sopprimere il male, una volta che è stato generato.
Se si scava in profondità, le tematiche affrontate in queste due ore abbondanti di dramma sono molto più variegate e complesse di quanto possa sembrare.
C’è il tema dell’incomunicabilità; quando Celeste, la moglie di Dave, trova il marito ferito, non crede alle sue parole (comunque menzognere) ma preferisce dar retta ai propri, erronei, sospetti. Quando Dave vuole farle capire di aver ucciso una persona perché le ricordava i “lupi mannari” che lo violentarono, lei si chiude nella propria corazza di pregiudizio e superficialità. Lo stesso Dave dice che “dovette fingere di essere un'altra persona”, “Dave è morto”. Tutto ruota intorno all’incapacità delle persone di essere sincere e vere. Questa impossibilità è a volte dettata da fattori esterni (il caso di Dave), in altre dall’ipocrisia e dalla scarsa sensibilità.
In questo caso è Jimmy che non sa sostenere il peso della verità con la moglie e preferisce abbandonarsi alle sue adulazioni. Quando Jimmy parla con Dave prima di ucciderlo, gli dice di ammettere ciò che ha fatto; egli nega, ma quando viene messa sul piatto la sua vita stessa, egli si arrende alla comodità della menzogna. Ovviamente, la promessa non viene mantenuta.
La società che ci viene prospettata in “Mystic River” è quindi quanto meno subdola ed ipocrita.
Ma non solo; la logica che domina è quella del pregiudizio. Jimmy odia il fidanzato della figlia perché suo padre, Solo Ray, gli era nemico. Il collega di Sean lo ritiene “di parte” perché sa che era amico di Dave. Insomma, nessuno si fida dell’altro. Il pregiudizio influenza negativamente ogni rapporto.
L’agire a fin di bene non è mai vittorioso, chi è più forte e furbo se la cava sempre. Jimmy ne è l’emblema; il suo atto violento non viene punito, mentre Dave, dopo una vita di dolore, paga il prezzo per qualcosa che non ha fatto. La stessa moglie di Dave, che confida i suoi sospetti a Jimmy a fin di bene, si trova alla fine vedova e disperata, abbandonata dallo stesso Jimmy, con cui era stata tanto trasparente.
Alla falsità e all’ingiustizia si aggiunge l’illogicità dell’agire. Scopriamo infatti che Katy è stata uccisa da due ragazzini che volevano solo fare una bravata. È l’elemento di imprevedibilità che si fonde alla logica perversa del male e fa esplodere la situazione.
Ma chi paga per questo? La risposta è; chi ha già sofferto è destinato a soffrire di nuovo, fino alla fine della sua vita. Il male si radica quasi nelle vite delle sue vittime e le perseguita continuamente.
Così, Sean e Jimmy, quando realizzano che Dave è morto ingiustamente, liquidano la questione in poche battute. Il rammarico emerge, ma scompare immediatamente di fronte alla prospettiva egoistica che le loro vite continuano; loro sono stati più fortunati. La domanda è; “perché loro si Dave no?”.
Quando Sean chiede a Jimmy quando ha visto Dave l’ultima volta egli risponde “è stato 25 anni fa lungo questa strada sul retro di quell’auto” riferendosi al momento in cui fu rapito.
È il male, che sceglie le sue vittime e le segue fino alla morte, mente chi su quell’auto non ci è salito, ed è rimasto estraneo al dolore, può solo percepire di riflesso l’ineluttabile negatività della vita, salvo poi distrarsi tra gli affetti personali e qualche simpatica parata carnevalesca.
La casualità dei nostri destini; una vita si può decidere in pochi secondi, nella scelta di un verme che seleziona la sua preda.
Una visione desolante della società odierna.
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