La sottocultura del Cyberpunk, inteso come movimento estetico-letterario e artistico, oltre che musicale, ha trovato la sua massima espressione in letteratura nelle opere di William Gibson ("Neuromancer", "Count Zero", "Mona Lisa Overdrive") costituenti la famosa "Trilogia", e in musica nell'album capolavoro "Buried Dreams" dei Clock DVA.

In quei solchi alloggiano alcune delle intuizioni più preziose e prolifiche per l'evoluzione dell'elettronica tout court dei decenni a venire, da quella che sarebbe divenuta la Techno-Trance (Orbital, Biosphere, notare i nomi allusivi e quasi programmatici), cioè l'amalgama tra la Musica Ambient (e la rivoluzione copernicana in essa racchiusa), le antesignane ritmiche metronomiche dell'electro-beat e ancora prima, certe soluzioni soniche rese possibili dall'avvento dei sintetizzatori (il Synth-Pop ha avuto un'importanza che va molto al di là della sua stessa auto-consapevolezza), a quello che sarebbe stato l'EBM.

Le musiche che avvolgevano quel concept tesissimo, violento, morboso, con la voce di Adi Newton a tratti eterea, memore di certi episodi "industrial" dei Joy Division, ("The Hacker" e "Velvet Realm" su tutte, ma anche la stessa title-track) prevalentemente cupa e profonda, quasi un continuo presagio (altro referente: la geniale intuizione dello spostamento della voce fuori-campo dei Suicide) davano un'idea di spazialità cangiante, ora più aperta ora claustrofobica, da tunnel spazio-temporale, o semplicemente intesa nell'ottica della new-wave più "tradizionale" e romantica (quella che si espresse in maniera sublime nel loro secondo "Thirst") nel senso dell'umana esistenza soggetta alla fine, fosse anche "la fine dell'eternità" (per chiarire il senso claustrofibico di un romanzo forse poco noto di Isaac Asimov). Quell'estetica minimalista decadente attinta alla cultura della new wave europea (i citati Joy Division di "The Eternal", "Day of The Lords", "Decades", ma anche i Bauhaus svelano inedite vicinanze) e americana (i citati Suicide, ma anche i precursori Velvet Underground), diedero linfa vitale per l'arte creativa di Newton e soci della "Advance Research Station", una sorta di stazione-laboratorio virtuale orbitante in quella Sheffield al bionica che poco distava da Manchester.

Chiuso il contratto per controversie di carattere artistico con la Interfish (fino ad allora aveva pubblicato almeno parte dei loro lavori "ufficiali", senza tenere conto del parallelo TAGC The Anti Group Communication), i Clock DVA dopo quel vertice insuperabile di Art-Rock che è "Buried Dreams" approdano proprio in Italia, dove la Contempo, di quella Firenze che fu prima l'epicentro della new-wave italiana (Diaframma, Rinf, Moda...) poi della sua saldatura con l'elettronica d'avanguardia (Pankow ad es), per dare alla luce questo densissimo concept album che, se non può andare oltre il lirismo decadente-disperato di "Buried Dreams", sviluppa il lato più filosofico e metafisico della visione del mondo sottese a quel periodo creativo. Più ritmato e meno atmosferico, più Krafwerk-oriented (Adi Newton sarà sempre debitore ai pionieri del "Krautrock" di certe ritmiche electro-beat) nonché integralmente elettronico, sostanzialmente più omogeneo sotto il profilo dell'architettura complessiva delle composizioni armoniche e dell'organizzazione dei beats, sin dal titolo chiarisce il focus dell'opera. In tal senso si parla di "Amplificazione" nel senso dell'estensione delle capacità percettive, esplorative e di conoscenza dell'Uomo, messe a disposizione dai più attuali e sofisticati "tools" (di cui viene fornita una esaustiva disamina nel retro-copertina), stabilendo tra l'altro una linea di continuità con l'età preistorica e antica. Se all'inizio furono le armi di selce, l'invensione della ruota, la scoperta del fuoco, e quindi le successive evoluzione delle invenzioni dell'Homo Sapiens e dei suoi successori ad ampliare la conoscenza del mondo, oggi sono i computers, (tematicamente messi in scena all'interno dello stesso processo creativo-musicale) l'Intelligenza Artificiale, simulativa della mente umana, le frontiere della Realtà-Virtuale.

"Men-Amplifiers" è tutto quanto detto, "Final Program" (singolo apripista dell'album) è nella concezione dell'informatica all'interno dell' atto creativo qualcosa di definibile per l'Umanità un "punto di non ritorno" (le sonorità distese danno un senso quasi post-apocalittico, "Final" in tal senso), "Fractalize" introduce l'argomento dell'algebra dei "Frattali", sistemi complessi di algoritmi matematici che permettono una rappresentazione dell'universo che si spinge alle frontiere dell'infiniatamente piccolo, ed è tormentata da una percussività particolarmente sferzante e ipnotica (è il brano che più ricorda i Cabaret Voltaire e l'Industrial in generale), su "Techno Geist" spira un afflato quasi epico, il brano sembra trasmettere il freddo delle distanze siderali, "Bitstream", vistruosismo ritmico, può essere considerata tranquillamente l'alter ego di "The Robots" dei Krafwerk: ballabile ma tematicamente complessa, come l'interezza di questo, incredibilmente riuscito nella perfezione armonica e nella geometria delle trame soniche, concept album. Una menzione particolare merita "NYC Overolad": le ritmiche si rallentano, il cielo si fa plumbeo e grigio "come un televisore sintonizzato su un canale morto" (W. Gibson), e si torna a riaprire il varco tematico del Cyberpunk: scenario apocalittico, presagio di qualcosa che riguarda un black-out esistenziale che coinvolgerà uomini e macchine. Già: anche l'Uomo, nel titolo la prima parola, fa parte della dimensione narrativa, oltre alle (pur avanzatissime e potenzialmente alienanti) macchine.

Adi Newton lavora su ogni singolo suono con la precisione di un miniaturista, il risultato è un trasparente, vitreo, prezioso gioiello electro, tra beats e sfuggenti aperture melodiche scorre la narrazione di un futuro consapevole del fatto che è "un" e non "il" futuro, ma sicuramente un presente esaltante.
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