Un gruppo strano, per niente scontato o individuabile. Sono partiti con un free collage rumoristico, a tratti dispersivo e confusionario, per poi spostarsi su un post punk tinto di dark. Siamo nel periodo di "Advantage", ovvero il 1983, quando ancora molte band sono ancorate ad uno scialbo synth pop.
I Clock DVA, invece, si dimostrano del tutto lungimiranti e maniacali nella scelta dei suoni, tanto da far ingelosire gli elaborati trip dei Pop Group di "Y". Non c'è solo il basso dub e la voce alienata negli stilemi del combo di Sheffield. Personalmente non li metto al di sopra di Underwood e soci, visto che alcune trovate da "Advantage" in poi possono non soddisfare pienamente. La cosa sicura è che stiamo parlando di una realtà camaleontica, mai appagata di quello che raccoglie e, perciò, in continua evoluzione.
"Buried Dreams" aggiorna i viaggi futuristici dei Cabaret Voltaire di "The Voice Of America" e "2x45". L'album del 1989 è il capostipite dell'industrial oscura, tanto vicino ai pattern dei Front 242, e ormai lontanissimo dall'afro funk di "North Loop" o "4 Hours". Le ritmiche serrate, le atmosfere cibernetiche e la classica voce minacciosa di Adi Newton sono sicuramente i punti forti dei Clock, ma è evidente come tutto ciò viene ampliato e ristrutturato in una nuova veste.
Un anno prima escono i due singoli "The Hacker" e "The Act". Quest'ultima è una svolta soprendente per il sound. Proprio quello che tutti aspettavano. La saga cyborg ha inizio e non ci può essere miglior band ad inaugurare una futura decade di elettronica variegata, dalle mille sfaccettature.
Niente ambient house o simili, qui c'è l'industrial alla massima potenza. Non troviamo variazioni o influenze strambe a condire la salsa. "The Act" introduce perfettamente il percorso futuro dei Clock; un mare di sequenze masochiste, ossessive, che non danno tregua neanche un istante.
Le linee di basso sono le vere costruttrici della circolarità sonora, dove si intromette il profetico declamare di Newton. Un ottimo lavoro che chiude gli anni Ottanta dando molte speranze. In realtà, nella decade successiva, ci saranno numerose produzioni dei Clock DVA, caratterizzate anche da un'eccessivo insistere su una linea precisa. Con "The Act", però, siamo distanti dalle ripetizioni noiose e dagli odiosi clichè.
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