Dopo 365 giorni dal loro precedente album tornano i clevelandesi Cloud Nothings con un disco prodotto da Steve Albini.
Io ti ammazzo maledetto feticista del rumore, ti scandaglio le trippe con un bisturi, ti stupro nell'utero, ti esplodo le cervella. Perché hai dovuto fare questo a una band che suonava così grezza e sincera? Perché pure loro, Steve? Perché hai dovuto renderli asettici? Ti saboto i freni. Ti soffoco nel sonno. Ti termino le terminazioni nervose.
Dopo soli 365 giorni dal loro secondo omonimo album, un disco che nonostante non fosse un capolavoro per me (ripeto: per me) ha significato molto: un disco indie-pop-punk freschissimo, veloce, divertente, sguaiato, emozionante e adolescente. Adolescente, sì, di un'adolescenza capace di creare perle dense di naïveté come "I always knew I'd follow you/And now I know that is much better" ripetute ad oltranza. Nerd-punk come i Weezer, meglio dei Weezer. Un anno dopo quest'adolescenza non c'è più, o quasi, perché Dylan Baldi e i suoi amichetti hanno deciso di far entrare nel loro parco giochi una persona matura, il produttore più quotato degli ultimi vent'anni, il Brian Eno delle distorsioni.
Mortacci vostra! Io vi imbraso in sala prove con un caterpillar e vi schiaccio tutti assieme agli strumenti. Io che ascoltai il vostro spensieratissimo disco il giorno stesso che venni mollato dalla tipa. Mi permise, per 28 minuti filati, quantomeno di non piangermi addosso tanto era pieno di vita e cazzone. Eravate fichi e genuini e ora avete deciso di giocare a fare i grandi. Albini è per voi come la sigaretta che ostentano nella mano i 14enni brufolosi e puzzolenti per sentirsi adulti. Io vi apro come cozze sotto i colpi della mia scure. Vi deflagro i connotati. Vi divelgo i cranii. Vi viviseziono. Vi apro. Vi vomito. Vi orino. Vi..
Dopo solo un anno "Attack on Memory" da un suono completamente diverso ai Cloud Nothings. Basta sentire i primi due brani, anzi basta guardarli: dal fervore punk delle canzoni brevi dei primi due dischi si è passati ai 4 minuti e 39 secondi di "No Future/No Past" e gli 8 e 52 di "Wasted Days".
Ma che ve possino schiattà i pesci rossi! Ma che roba è? Ma chi siete diventati i Radiohead? Ma soprattutto - @!$£?!* - i Radiohead di "Hail to The Thief"?! Che genere è quello? Punk-slowcore? E poi altro che "Wasted Days"...quelli sono i giorni che avete sprecato voi per fare un brano che inizia tutto carino e velocino e poi diventa un pastone post-rockoso stile "Sonic-Youth-tornate-insieme" da palle nella macchina per le cialde! Vi devo menare? 'spettate che prendo il cric.
Non mancano pezzi che ricordano vagamente il vecchio stile come la scarica di adrenalina malinconica di "Fall In" e il ritornello da sniffata di powerpopper di "Stay Useless".
Ah, allora ci riuscite ancora? Io vi prendo a katanate sui polpacci. Vi sfibro gli stinchi. Vi marchio a fuoco in fronte. Perché sti bei pezzini in mezzo a quella roba? Che poi tanto fate cacare dal vivo e voglio vedere se riuscite a farli. Grgnnengnnengnggrgrrrr... Ci credo che in copertina avete timidamente scritto il nome così piccolo: in tal modo uno deve avvicinare il naso a 2mm dal cd e poi spuntate voi a fare lo scherzetto. Spingete il disco contro la faccia del malcapitato: quello si rompe e allo sfigato di turno entrano pezzettini di plexiglas negli occhi. Sadicidimèrda.
Ma è solo un ricordo sfocato perché la successiva "Separation" è un pezzo strumentale che parte dalla canonica base punk per poi virare su dissonanze rumoriste. E i restanti pezzi proseguono su questo piglio più composto e ragionato. Che non significa siano qualitativamente scarsi.
Per voi ci son le lame. Bombe a mano. Molotov. Seghelettriche. Fuoco alle polveri. Meteoriti olezzosi sulle vostre case. Acido muriatico!
"Attack on Memory" oggettivamente è un ottimo disco eppur spiazzante per chi ha sentito i precedenti. Una maturazione che band meno talentuose compirebbero in 10 anni e non in soli 12 mesi. Un disco in cui la velocità diretta e senza filtri del punk si siede in poltrona a riflettere e quando è lì lì per addormentarsi si riprende in un impeto nostalgico e saltella per un po' con tutte le scarpe sul tavolino da te. Ma poi, con garbo, si ricompone e si siede nuovamente a riflettere seriosamente. Bello, sì. Consigliato agli appassionati di post-hardcore che non si prendono sul serio. Ai fan di Steve Albini, dei Fucked Up, dei Radiohead e delle musichine rumorose ma non troppo, ambiziose ma intime. Un disco da 4 stelle diciamo.
Ma io non voglio crescere. Crescere fa paura. Vi odio. E non vi metto il voto. E vi mando lettere all'antrace.
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