Il viaggio lo avevamo iniziato già tempo fa. Tygers of Pan Tang, Tokyo Blade.. nomi che spesso non dicono nulla ai più, ma che per qualche vecchio/giovane appassionato sono causa di più di un brivido lungo la schiena. Locali piccoli, fumosi, palchi minuscoli che a stento contengono un'energia strabordante, borchie e vecchie toppe rispolverate per l'occasione, i capelli non più lunghi come un tempo ma tant'è.
Scoprire e riscoprire le vecchie glorie della New Wave of British Heavy Metal è sempre un'esperienza per la quale vale la pena "rischiare" qualche euro in più, casomai per il vinile di quel gruppo che conosci solo di nome, ma già la provenienza temporale e geografica è una garanzia di suo. Quella fucina di musicisti che un giorno sfornava degli esordiente ma agguerriti Iron Maiden e il giorno dopo dei caparbi Saxon non tornerà più, con buona pace di tutti. E scavando scavando alla fine trovi anche qualcosa di loro, un ep o forse qualche vecchio lp di cui nemmeno ti ricordavi più: Signore e Signori, i Cloven Hoof. Alfieri della New Wave più oscura e tenebrosa, ad oggi sono dimenticati dai più e anche le operazioni di rilancio più volte tentate negli ultimi anni sono miseramente fallite. Ma andiamo con ordine.
Fondati dal bassista Lee Payne nell'ormai lontanissimo 1978, la discografia dei Nostri si compone di una manciata di ep e 33 giri col tempo divenuti oggetto di culto tra i fan più sfegati ed attenti. Imparata la lezione dei Black Sabbath più evocativi e dei Judas Priest più seminali, le solite difficoltà di sorta li portano all'inevitabile scioglimento nel 1990, ma dopo anni di Grunge e Nu Metal, ad inizio anni Duemila, ci sono vari tentativi di tornare in pista, mai realmente concretizzati. Le caratteristiche salienti dei Nostri? Musicalmente non ci si discosta più di tanto da quelle che sono le più classiche coordinate dell'heavy metal anni Ottanta, ma il tutto viene reinterpretato con gran personalità, grazie ad un bassista autore di pezzi memorabili, cavalcate sempre supportate da una sezione ritmica invidiabile, atmosfere che oscillano tra l'horror e la fantascienza ed un cantante azzeccato per il ruolo, capace di passare nello stesso brano dal registro più teatrale ed epico ad uno screaming di chiaro stampo halfordiano. I vari tentativi di rimettere in piedi una formazione stabile, soprattutto in anni recenti, sono sempre durati ben poco, con un carosello di formazioni che in confronto i Black Sabbath di metà anni Ottanta sono nulla. Il dischetto in questione, tra l'altro l'ultimo sulla lunga distanza finora pubblicato, è una raccolta comprendente vari pezzi riregistrati dalla formazione dell'epoca, con l'aggiunto dell'inedito "Mutilator". Operazioni di questo tipo, di solito abbastanza discutibili quando si parla di nomi più affermati, sono invece una manna dal cielo quando si ha a che fare con gruppi minori, i cui dischi sono difficilmente reperibili se non addirittura fuori catalogo, anche perché di solito in questi casi gli unici modi per recuperare i vecchi album sono quelli di dissanguarsi a qualche fiera del disco o di farsi piacere gli mp3 e scaricare senza troppi problemi morali da qualche blog sudamericano. E quale modo migliore di tentare di tornare in pista se non richiamare dietro il microfono quel Russ North che li aveva resi grandi negli anni Ottanta? Un'ugola d'oro abbinata ad un gran carisma e ad un'immagine kitchissima da attore di soap colombiane, il buon Russ è da sempre stato croce e delizia degli inglesi, tanto frontman di razza quanto inaffidabile bandieruola, pronto a lasciare il gruppo dieci giorni prima di un concerto per poi tornare come se niente fosse la settimana dopo. E restando sempre in ambito di ritorni illustri, per l'ennesima volta dietro le pelli troviamo Jon Brown, tornato riprendersi lo sgabello che fu suo già a fine anni Ottanta, mentre alla chitarra c'è il nuovo arrivato Ben Read, sempre guidati, naturalmente, dal capoccia Lee "Air" Payne, agguerrito bassista che nulla ha da invidiare, in quanto a fantasia e tecnica, ai nomi più blasonati del genere. "Inquisitor", recuperata dal precedente "Eye of the Sun" del 2006, si apre con un suggestivo coro gregoriano e rivela, casomai ce ne fosse bisogno, il debito dei Nostri dei confronti del Prete di Giuda: chitarre aggressive, basso, mixato volutamente alto e pulsante, ritmi serrati e falsetto. "Nova Battlestar" e "Gates of Gehenna", gemme del passato preistorico del gruppo, mettono in luce il lato più enfatico del cantato di North, frontman di razza mai troppo apprezzato e che avrebbe meritato ben altro successo, grazie al loro ritmo trascinante e a ritornelli che sembrano scritti apposta per essere cantati a squarciagola.
Inutile fare una disamina brano per brano, le coordinate su cui i Cloven Hoof si muovevano, e vorrebbero ancora muoversi, sono chiare, ma pezzi come "Astral Rider", dalle atmosfere fantascientifiche e introdotta da un bel giro di basso, o "Mistress of the Forest" dovrebbero essere ascoltati almeno una volta nella vita da un qualsiasi appassionato non solo di heavy ma di buona musica in generale. Il discorso alla fine qual è? Il solito: grande gruppo, grandi album e molta poco notorietà, anche se, e questo va detto, per una non si può dare tutta la colpa alla poca curiosità del pubblico o alla "malvagia" casa discografica di turno. Da qualche anno a questa parte i Cloven Hoof hanno più volte tentato di rientrare in pista ma francamente sempre con scarsi risultati. Voler godere della benché minima credibilità e cambiare cantante qualcosa come sei volte nel giro di un paio di anni non vanno troppo d'accordo, visto che ormai sembra diventato persino impossibile per loro organizzare un mini-tour degno di questo nome o proporre ad una casa discografica almeno un demo. E almeno una colpa di questo mezzo disastro va addossata anche al capoccia Lee Payne, che evidentemente deve averci messo qualche annetto di troppo per rendersi conto che con alcuni suoi (ex) collaboratori non era il caso di perderci tutto questo tempo, tra rientri e abbondoni con tempistiche tragicomiche. Alla fine che resta? Un gran disco, sicuramente, che testimoniano quello che sarebbe potuto essere e non è stato, con l'amara consapevolezza che molto difficilmente riusciremo mai a sentire un "Definitive part Two". Peccato, perché le carte per un successo, almeno di nicchia, c'erano tutte.
1. Inquisitor
2. Nova Battlestar
3. The Gates of Gehenna
4. Astral Rider
5. Kiss of Evil
6. Mutilator
7. Reach for the Sky
8. Road of Eagles
9. Return of the Passover
10. Laying Down the Law
11. Mistress of the Forest
Russ North - Vocals
Ben Read - Guitars
Lee Payne - Bass, Additional Guitars, Vocals & Keyboards
Jon Brown - Drums
Guest musicians:
Mick Powell Guitars, Keyboards
Dale North - Narration on "Road of Eagles"
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