I Coal Chamber possono essere in un certo senso considerati i puristi del nu metal: nel corso della loro carriera piuttosto breve e tormentata hanno pubblicato solo tre album ufficiali e non hanno mai manifestato tendenze poco nobili all'easy listening, nemmeno quando il neometal era un genere di largo consumo, ed è anche per questo che il loro successo non hai mai eguagliato quello di altri nomi rappresentativi o addirittura di immeritevoli cloni del genere .
"Chamber Music", il secondo album, esce nel 1999 ed inserisce il gruppo tra le realtà che hanno nobilitato questa scena. L'influenza dei Korn, che tanto (forse un pò troppo) aveva caratterizzato il debutto eponimo, è ancora presente, ma viene filtrata attraverso l'elettronica: le chitarre pesantemente downtuned di Meegs vengono abbondantemente effettate e inoltre vengono introdotte le tastiere, che donano coloriture dark alla musica del gruppo, un cupo e sepolcrale distillato di ossessioni e fantasmi personali. Una musica, dunque, fortemente espressionista ed esistenzialista, come del resto dimostrano i testi, in cui ancora una volta emergono i problemi del cantante Dez Fafara: "Not Living" ed altre canzoni descrivono un uomo distrutto dal divorzio e ancora inutilmente innamorato della moglie-sanguisuga che l'ha abbandonato e gli ha portato via tutto, ma in "Tyler's Song", dedicata al figlio, si scopre comunque un padre saggio e amorevole.
Proseguiamo con l'analisi del contenuto musicale. Dopo una breve introduzione strumentale per archi, "Mist", che sembra quasi prendere alla lettera il titolo dell'album, irrompe l'acredine robotizzata e futurista di "Tragedy". E' questa la musica da camera dei Coal Chamber, ancor meglio esemplificata dai brani successivi: "El Cu Cuy, UnTrue, What's In Your Mind?, Not Living, Entwined" e "Feed My Dreams" si dispiegano in una sezione ritmica - Mike Cox alla batteria e Rayna Foss al basso - incalzante e nervosa che deve parecchio al funk (a proposito di influenze korniane) e riff semplici ma di ennesima potenza che sporadicamente cedono il passo a plumbee melodie sintetiche e futuribili. Su queste strutture, la duttile voce di Dez Fafara oscilla vertiginosamente da spoken feroci - chiamiamoli pure rap - e ringhi profondi - chiamiamoli pure growl - ad un registro cantato ora baritonale e ora perversamente androgino. Per quanto riguarda la componente melodica, le umbratili ballate "Burgundy" e "My Mercy" aggiungono tocchi di nero all'elettro-pop autunnale dei Depeche Mode. Da menzionare è anche la curiosa cover di "Shock The Monkey" di Peter Gabriel, in cui alla voce di Dez si aggiunge quella di nientemeno che Ozzy Osbourne.
Peccato per il finale un pò sottotono (davvero mediocri "No Home" e "Notion", nemmeno "Shari Vegas" è una perla), senza il quale il lavoro avrebbe meritato il massimo dei voti. Resta comunque un'opera notevole: i suoi meriti sono quelli di saper combinare il vigoroso e maschio turgore del nu-metal con atmosfere di natura più androgina e di rifuggire gli stereotipi del genere (in primis, nu metal = rap metal pompato e tamarro). Avrebbero meritato un destino migliore, i Coal Chamber.
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