"Queste gocce di pioggia faranno sorridere le pozzanghere, lo spazio breve sotto il mio ombrello è quello che ho, in questo grigio mattino, ma voglio viverlo con te, fino all'arrivo del temporale. Il temporale ci porterà via, ci strapperà a questo grigiore e potremo vedere il mare, le onde del mare, l'acqua alta, e nascondere il viso, il nostro viso, nelle onde del mare"
La bellezza neoclassica si fonde con l'estetica minimalista di questa universale Poesia: un marmoreo volto femminile nascosto dai secoli affiora dal lato inferiore di una lastra di materica eternità racchiusa nel breve respiro del tempo dell'uomo, finchè l'uomo avrà tempo, scrutata dal basso, racchiusa nella cornice di fiori e di alberi... e silenzio del chiostro, di un'isola appena al largo, ma non troppo, appena lambita dalle onde tranquille, appena baciata dal sole, e sfiorata dalle ombre lunghe ...
Extra-contestualizzazione ri-contestualizabile da chi leggerà (se vorrà) perché il significato di un'opera è monumentum e documentum nell'archeologia dell'anima, nelle infinite nervature fluviali che percorrono il nostro (breve e costretto) geografico tempo interno.
Queste ri-connessioni forse saranno utili a ricostruirlo, forse no. Non importa.
I Codeine (Douglas Scharin David Grubbs, John Engle)sono un trio americano, abituato e capace a quanto si può sentire, di trasfondere le suggestioni emotive, panoramiche, ambientali nell'inscindibile intreccio sonico che forma ognuna di queste semplici, ma preziose, canzoni. La musica: un rock scarno, etereo ma corposo, ben strutturato nella sua architettura compositiva sottilmente sofisticata e avanguardistica, ridotto all'essenza della triangolazione chitarra-basso-batteria, con la semplice ma geniale intuizione di rallentare, teatralizzandone il significato esistenziale, le ritmiche che scandiscono le narrazioni per immagini che si dispiegano come un sole nascente, come un soffio di vento che attraversa gli alberi, o la vista delle cime innevate all'orizzonte. Poetica impressionista, sin dal loro folgorante esordio, che racchiudeva l'enigmatica distanza degli spazi siderali: "Frigid Stars", e in particolare il singolo "D" (editors: Sub Pop) illustrarono alla perfezione la tecnica costruttiva e lo stile interpretativo delle rock-songs di questo interessantissimo gruppo: arpeggi elettro-acustici che si posano su un drumming lento, dilatato, sincopato e indugiante, fino a che quasi magicamente il tutto prende corpo, la melodia prende forma in modo deciso e si armonizza con il sound più elettrico, quasi noise, e la potenza della batteria; la struttura armonica è circolare e ripetitiva (come nella migliore tradizione indie), l'ispirazione stilistica include le stridenti e vorticose chitarre elettriche dei Dinosaur Jr e i contrasti melodia-rumore dei loro alter-ego albionici JAMC, ma c'è dell'altro, un'ispirazione particolare, una semplicità apparente ma estremamente cesellata, dotata di una perfezione tale da far perdere di vista gli altri possibili riferimenti, verrebbe da dire che i Codeine sono talmente "avanti" che le loro idee potrebbero essere sorgive, autenticante nuove in senso stilistico.
Dopo l'interludio con il mini-album "Barely Real" arriva il secondo vero seguito: dopo il gelido e lontano cielo stellato dell'esordio, "The White Birch", "La Betulla Bianca". Titolo suggestivo, invernale, emblematico di una poetica crepuscolare, minimalista, a volte quasi ermetica che permea questi nove episodi musicali. "Sea" di fatto stabilisce la linea dell'intero lavoro: "a white ship sails on a black sea, takes my love away from me, and now I understand..." . Chiaroscuro come nella fotografia artistica, un vascello bianco sull'oceano nero, e un finale sospeso, impenetrabile. La successiva "Loss Leader" è uno degli episodi migliori dell'album: melodia in minore, ripetuta due volte, di nuovo il cantato che si posa delicatamente come le "Cinque Foglie Cadute" ("Five Leaves Left") sul pavimento lastricato sonoro, quindi la melodia esplode, la ritmica decisa segue gli assoli elettrici in saturazione, prolungati, e la voce anche, parte domina e parte ne è soggiogata (si ascolti "Creep" dei Radiohead per capire... senza allusioni a chi-ha-inventato-cosa-prima-di-chi)
"Tom", singolo battistrada di questo atteso lavoro, sembra da un lato racchiudere le idee più significative (melodie che cambiano come la luce prima dell'alba, impressionismo in forma di canzone e narrazione senza contorni, sfumature chiaroscurate che attorniano il tutto quasi a nasconderne il profilo), anche se appare un po' una semplificazione, un condensato di quanto il gruppo vuole esprimere, (oltre alle inevitabili implicazioni di carattere commerciale), che risulta alla fine come uno dei momenti meno significativi; affascinanti invece l'oscura "Wirh" e la delicata "Smoking Room", tutte, in definitiva, variazioni sul tema (variazioni vere, non semplici sfumature della stessa canzone) che offrono ognuna, come nella pittura impressionista, istanti prolungati fotografati a diaframma aperto, di vari momenti della giornata, nonché la rappresentazione sottostante delle variazioni meteorologiche interiori delle emozioni di chi quei momenti li ha vissuti, immaginati e trascritti in musica.
Un album consigliabile ai fans di generi rispetto ai quali è adatto a far "da ponte": Come, Slint, Red House Painters, Smog, Sophia, Mazzy Star, Blonde Redhead, Nick Drake, Mogwaii
"Ogni volta che ascoltiamo è una cicatrice in più. Ma è una ferita in meno".
(dedico questo mio umile scritto al Festival Delle Diverse Abilità)
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