E' veramente impressionante notare quanto velocemente i Coil siano stati capaci di disfarsi delle sonorità ottantiane. E' appena il 1991 ed esce "Love's Secret Domain" (prima release ufficiale dai tempi di "Horse Rotorvator", e con la quale si va a concludere la trilogia ideale iniziata con "Scatology"): l'album risulta pesantemente influenzato da sonorità acid house, e se le ragioni della svolta stanno anche e soprattutto nel contributo del produttore dance Danny Hide, c'è da dare atto a Balance e Christopherson (coadiuvati dal fido Stephen Thrower) di aver saputo ancora una volta carpire e metabolizzare le novità più interessanti del momento, per poi tirare fuori dal cilindro qualcosa di estremamente personale. E c'è da dire che la nuova veste calza veramente a pennello alla musica dei Coil, sposandosi perfettamente con le ambientazioni malsane, pregne di eccessi e perversione, che da sempre contraddistinguono l'industrial act inglese.

La discoteca, luogo di stordimento e perdizione, è il tempio dove si consuma il nuovo sacrificio di Balance e Christopherson, pronti ad immolare le nostre orecchie e il nostro cervello su un altare di plexiglass e pastiglie di ecstasy. Non si raggiungono i picchi di creatività di un lavoro inarrivabile come "Horse Rotorvator", ma i due sono in grado, ancora una volta, di confezionare un lavoro davvero intrigante, vario, e grondante follia dalla prima all'ultima nota.

Abbandonate vagamente le atmosfere gotiche che avevano caratterizzato le opere precedenti, "Love's Secret Domain" è la soggettiva sfocata e traballante di un tossicodipente in una notte di eccessi: divertimento artificiale, potremmo dire, folle indigestione, lungimiranza-zero e assoluta non curanza dei postumi del giorno dopo. Ambientazioni fumose, confusione, gesti inconsulti. Sballottati fra la folla di un corridoio oscuro o riversi sul bancone di una squallida bettola. Con la gola secca per le troppo sigarette, la testa gonfia per l'alcool, le membra che schizzano per l'anfetamina: il mondo circostante ci minaccia ma pure ci ammalia, e nell'abisso dell'incoscenza sprofondiamo palpando culi, tette, pacchi, tracannando improbabili drink, tronfi di una felicità sintetica, vulnerabili e fortunatamente insensibili. Sono queste le impressioni che ci piovono addosso durante questa sfarzosa messa in scena, che finisce per somigliare ad un violento atto di sodomia consumato nel cesso lurido di una discoteca, dove di tanto in tanto, tra il fiato corto di quello che ti sta dietro e i versacci sguaiati di chi sta vomitando nel cesso accanto, si ode il pulsare lontano della techno-trance più allucinogena.

Balance e Christopherson si rivelano come sempre abili architetti nell'edificare un mondo allucinato, contorti edifici, fallici monumenti che si intravedono al di là di una spessa nebbia, inghiottiti in un vortice di densa paranoia e turbe psichiche: un incubo variopinto di marzapane, pastigliette colorate e wodka-orange. E l'onestà dei due artisti sta soprattutto nel non puntare sul "facilmente psichedelico", ma nell'allestire, con la consueta professionalità, composizioni ben strutturate, ricche di soluzioni e dalle mille sfumature che vanno a comporre un viaggio che si evolve con l'incertezza e l'imprevedibilità degne di un romanzo di Burroughs. E proprio il cut-up burroughsiano sembra animare questo viaggio in cui ci ritroviamo a ripercorre a tentoni i corridoi intricati e sintetici di un claustrofobico e labirintico mondo notturno. Come se ci trovassimo, appunto, ne "Il Pasto Nudo".

Fatevi catturare, quindi, da questa sorta di "Dark Side of the Love", torbida escursione nei domini oscuri e segreti dell'amore. Tra fraseggi spezzati, temi che si riprendono e repentine inversioni di rotta, il cammino procede all'insegna del disorientamento: suoni perfetti, suoni malati, fra conati di vomito e crampi allo stomaco, la via della perdizione si compie attraverso 13 porte, 13 luoghi putridi in cui sarà facile imbattersi in loschi personaggi, come in torbido remake di Alice nel Paese delle Meraviglie. A guidarci non c'è però il Bianconiglio, ma un caronte un po' svogliato e sempre pronto ad eclissarsi per inseguire avidamente i propri divertimenti. E così la voce di Balance, meno presente del solito, va e viene, irriconoscibile a tratti, manipolata dalle macchine o violentata dal vocoder, ma sempre incisiva e capace di incuterci timore. A parlare sono piuttosto i ritmi pulsanti della techno più allicinogena ("The Snow"), le eiaculazioni fluorescenti del rumorismo più lisergico e demenziale ("Teenage Lightning", 1 e 2), i bassi ipnotici del dub più oscuro ("Where even the Darkness"). Altro che Orb!, altro che Massive Attack! I suoni si fanno fluidi, come i neuroni che si sfaldano sotto l'azione letale delle droghe, e come sperma evanescente che ti entra nelle orecchie e ti inonda le cavità del cervello.

Ma "Love's Secret Domain" non è un disco di elettronica, "Love's Secret Domain" è l'ennesima manifestazione della libertà artistica di una band che non si preclude limite alcuno, che non teme di sradicare l'avanguardia dal suo trono dorato e gettarla nel fango per asservirla ai più bassi istinti. E così, fra misurate incursioni industriali, cupi affreschi di angosciante desolazione ed esplorazioni di rumorismo strampalato, c'è pure spazio per l'organetto demenziale di "Disco Hospital", le schitarrate spagnoleggaianti di "Lorca not Orca" (ennesimo tributo ad un artista omosessuale ucciso per le sue idee) e l'apertura classica, con tanto di oboe e violini, al termine dell'incubo rumoristico "Chaostrophy".

"Things Happen" è invece un monologo alcolico in cui la voce di Anna Anxiety-Barnez è talmente impastata e strascicata da farci pensare che la donna sia davvero in preda ai fumi dell'alcool. E se "Titan Arch" si fregia del canto cristallino di Marc Almond, influenza fondamentale per i Coil, nonché amico e collaboratore di vecchia data della band, Balance ci regala una interpretazione da paura nella conclusiva title track, saggio di imprevedibile ed al tempo stesso misurata follia, che tutti i "provetti pazzi" di questo fasullo mondo musicale di oggigiorno dovrebbero studiare a fondo. Perché, come al solito, ad incutere timore nell'arte dei Coil è la lucidità e la razionalità con cui i gesti più folli vengono compiuti, allo stesso modo in cui un serial killer, con metodo e rigore, si appresta a tagliarti a fettine e riporti ordinatamente nel freezer.

Cosa state aspettando? Fatevi affettare anche voi, venite a saggiare il dominio segreto dell'amore!

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