L'arte dei Coil è un flusso in continuo divenire: ogni opera, “grande” o “piccola” che sia, costituisce un passo fondamentale nell'evoluzione del percorso artistico di Jhon Balance e Peter Christopherson. Un singolo, un EP, un progetto parallelo, un lavoro di remix, perfino una colonna sonora abortita ed una raccolta postuma valgono quanto gli album “ufficiali”: medesimo è l'impegno, medesima l'ispirazione, medesima la spinta progressiva nel confezionare qualcosa di nuovo, personale, originale.
Prendiamo per esempio i quattro EP pubblicati lungo l'arco del 1998 in occasione dei due equinozi (“Spring Equinox” ed “Autumn Equinox”) e dei due solstizi (“Summer Solstice” e “”Winter Solstice”), poi raccolti nel 2002 in questo splendido doppio album che risponde al nome di “Moon's Milk (In Four Phases)”.
Il 1998 è l'anno in cui era stato registrato “Astral Disaster”, lavoro che segnò una brusca virata verso le sonorità rituali degli esordi, rilette in chiave cosmica ed alla luce della maggiore consapevolezza maturata nel gestire le proprie energie creative. Ma in questi quattro episodi il passo è più significativo, poiché l'entità Coil sposta ulteriormente in avanti la propria visione industriale, gettando le basi di quella che diverrà la “musica lunare” splendidamente sviluppata nei due tomi della saga “Musick to Play in the Dark”, che sanciranno l'approdo ad una nuova splendida giovinezza (anche se i due, diciamolo, vecchi non sono stati mai).
Il contributo del compositore/polistrumentista William Breeze conferisce linfa vitale alla foschia industriale da sempre patrocinata dalla premiata ditta Balance/Christopherson: il suo violino, la sua chitarra, il suo sitar indiano imprimono alla musica dei Coil spiritualità, umanità, quella spinta decisiva verso la svolta “pseudo-cantautoriale” che nel tempo ben esalterà, in tutta la sua straziante follia, la poetica allucinata di Balance.
Se l'arte dei Coil è stata un atto di sodomia, se in “Scatology” l'atto veniva consumato in un lurido cesso pubblico dei sobborghi londinesi; se in “Horse Rotorvator” ciò accadeva nel lussuoso cesso di un museo d'arte contemporanea; e se in “Love's Secret Domain” la sodomia si compieva nel cesso patinato di una frastornante discoteca, in questa nuova dimensione l'atto sembra essersi definitivamente consumato, il fallo smaterializzato e disintegrato in microscopico pulviscolo e disperso nello spazio. L'ano è un buco nero che ci risucchia e ci conduce in mondi di cui disconosciamo regole e leggi, ma in cui possiamo riconoscere le dinamiche dell'amore perverso, della follia omicida, della celebrazione di ignote divinità.
Ed è bello assistere, in questi quattro lavori, a come l'occultismo dei Coil muti, acquisisca nuove sfumature, inglobi la musica cosmica di settantiana memoria, per trasformarsi passo dopo passo nella caratteristica “moon music”, richiamata fin dal titolo di questa mastodontica opera di recupero.
In “Moon's Milk” convivono splendidamente plumbee e spaziali ballate, affossante ambient e gli arzigogoli elettronici che da sempre caratterizzano l'arte dei Coil: una serie di bozzetti, spesso caratterizzati da stili diversi (spennellate di un angosciante espressionismo, geometrie rifinite di un grottesco cubismo, bislacche figure ed evanescenze di un improvvido surrealismo, armonici chiaro-scurali di un sognante romanticismo), buttati giù senza mediazione alcuna, eppure così efficaci nel fotografare l'evoluzione artistica che i due hanno saputo percorrere nello spazio di un solo anno.
In “Spring Equinox” (che è quanto di più lontano ci possa essere dalla primavera) i Coil sembrano per esempio ritornare ai tempi del primissimo lavoro “How to Destroy Angels”, anche se l'hammond che danza mesto sui droni e sui vocalizzi trattati ed allungati di un irriconoscibile Balance, più che all'esoterismo dei cugini Current 93, ci riporta alla kosmische dei maestri immortali Tangerine Dream.
In “Summer Solstice”, invece, la musica lunare inizia a prendere una forma più definita: il canto di Balance si abbandona alle sue visioni sfocate, approdando a quell'oscuro recitato che dominerà nei due “Musick to Play in the Dark”. Il tutto è ancora molto tenebroso e calato nelle sequenze striscianti e nelle aritmie del maestro Christopherson. Ma c'è già il falsetto delirante di “Summer Substructures”, dove Balance ci sembra un Muezzin impazzito che tesse il suo apocalittico canto da un fallico minareto disperso chissà dove nello spazio.
Ma è in “Autumn Equinox” che saggeremo i frutti più succosi di questa “metamorfosi in progress” e riprodotta al rallentatore: “Rosa Decidua” è una ballata cosmica in cui svetta lo struggente duetto fra Drew McDowall (sorella della ben più nota Rose?) ed una arcana voce tenorile; “The Auto-Asphyxiating Hierophant” ci mette paura e ci fa precipitare in un nuovo incubo pagano, dominato dal lento battere dei tamburi, dalle minacciose sferzate di viola di Breeze e dalle voci di Balance e della McDowall che recitano all'unisono tenebrosi salmi che odorano di sperma, sangue e vasellina; un incubo subito spezzato dall'incanto di uno dei classici di sempre dei Coil, quella “Amethyst” Deceivers” che vivrà di mille vite ancora, ma che qui incanta grazie ai suggestivi intrecci fra i colpi di vento elettronici di Christopherson e l'ispirata chitarra acustica di Breeze. La sensazione è quella di ondeggiare in un mitico dormiveglia dato dall'ondeggiare di un soffice tappeto volante che fluttua nel nero-arancio di un cielo crepuscolare: un capolavoro nel capolavoro nel capolavoro.
L'ultimo quadrante, “Winter Solstice” si apre infine con quel gioiello di “electro-pop” visionario che “A White Rainbow”, la quale spalanca definitivamente le porte alle sensazionali immagini che caratterizzeranno l'ultimo scorcio di carriera dei Coil (“The Dreamer is still Asleep” e “Batwings (A Limnal Hymn)” tanto per intenderci).
A chiudere il tutto, dopo il fracasso delle macchine di Christopherson, “Christmas is Now Drawing Near”: una sognante ninna nanna che ci purifica finalmente dal male, cantata dall'angelica Rose McDowall, pronta a montare sul carrozzone dei Coil e spendersi senza riserve nei due tomi di “Musick to Play in the Dark”.
Con il tempo, si vedrà, la visione artistica di Balance prenderà il sopravvento su quella di Christopherson, complice anche l'incipiente rottura del loro lungo rapporto sentimentale. Uno squilibrio che tuttavia non deve ledere in nessun modo la figura e il carisma di un personaggio come Peter Christopherson: poiché Christopherson, da annoverare fra gli autori fondamentali della musica contemporanea (tutt'oggi, a più o meno trent'anni di distanza, ci è difficile spiegare cosa siano stati veramente i Throbbing Gristle in tutta la loro valenza artistica), è un professionista che ha dimostrato di avere una propria indipendenza ed una propria autonomia, mentre lo squilibrato Balance da solo proprio non me lo so immaginare. Si sa, l'uno era la ragione, l'altro la follia, ma è proprio in questo equilibrio che si fonda una delle realtà più sensazionali del panorama industriale di ieri, di oggi, ahimè non di domani.
Da ascoltare fino allo sfinimento.
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