Un culo incastonato in una cornice dorata a forma di croce rovesciata: la copertina di "Scatology", primo full-lenght ufficiale targato 1984, sintetizza perfettamente il programma di intenti della premiata ditta Balance/Christopherson.

Il culo sta indubbiamente a rappresentare l'immaginario di libera espressione sessuale che soggiace alla visione poetica della band. La cornice dorata, invece, richiama la natura colta ed intellettuale della proposta, ricca di citazioni dal mondo dell'arte e della riflessione filosofica (da Nietzsche a De Sade, Dali, Jarry, fino a Manson e alla letteratura pulp) e, musicalmente parlando, riconducibile ad una tradizione avanguardista che prende piede dall'opera destabilizzante di formazioni come Throbbing Gristle e Tuxedomoon. La croce rovesciata, infine, va a simboleggiare l'insofferenza nei confronti di ogni forma di istituzione precostituita, come la Chiesa per esempio, che nella società rivesta una valenza reazionaria e conservatrice. Nonché le sfumature inquietantemente esoteriche che da sempre macchiano le tetre evoluzioni della musica dei Coil (ricordiamoci che i Coil nascono all'insegna dell'industrial esoterico, e che l'EP di debutto "How to Destroy Angels", del medesimo anno, poco si discosta dalla proprosta dei connazionali Current 93 dell'amico David Tibet).

Parlare di industrial è riduttivo quando si parla dei Coil: vero è che Christopherson, ex militante in Throbbing Gristle e Psychic TV, è stato uno dei padri fondatori del genere. Vero è che questo "Scatology", rispetto al passato, è una virata verso lidi più canonicamente industriali, risentendo, a mio parere dell'influenza dei Killing Joke, fra i primi a coniugare avanguardismo industriale e linearità rock. Vero è, infine, che a produrre l'album c'è Jim Thirlwell, mente del progetto Foetus e uno dei più grandi cervelli della musica industriale di sempre. Tuttavia l'esperienza Coil, per merito del talento visionario e malato di John Balance, anche lui ex Psychic TV, scavalca abbondantemente l'approccio industriale per approdare al dark più oscuro. L'invenzione dei Coil sta proprio nel coniugare industrial e musica gotica. Tant'è che possiamo a tutti gli effetti parlare di post industrial, dato che la musica dei Coil, pur facendo propri gli assiomi del genere, non coltiva già più l'intento originario di rappresentare l'alienazione e la disumanizzazione tipiche della realtà sociale nell'era industriale. La ripetitività dei suoni in loop, il pulsare della drum-machine, le atmosfere clautrofobiche ed allucinate, vanno bensì ad assumure connotati psicoanalitici, gli inquieti contorni di una mente folle. Ed è così che l'industrial con i Coil si macchia di sangue. Di sangue e di sperma, se vogliamo dirla tutta: sono infatti gli anni in cui inizia a diffondersi la paura dell'A.I.D.S: paure che vanno ad intorbidire e macchiare di inquietudine la vita sessuale delle nuove generazioni. E non un caso che, come bonus track, troviamo la cover dei Soft Cell "Tainted Love" (rallentata all'inverosimile e trasformata in qualcosa di veramente alienante), originariamente uscita come singolo, fra le prime iniziative di sempre per aiutare gli affetti dal virus dell'HIV.

Ma l'arte visionaria ed eccessiva dei Coil ci porta ben oltre, conducendoci nei meandri di un fosco e nefando mondo sotterraneo, fatto di abusi, eccessi e violenza, fisica e psicologica. La musica dei Coil non è più quindi una semplice metafora della realtà, ma va piuttosto a rappresentare la fuga da questa realtà. Una ricerca inconscia della propria umanità perduta compiuta attarverso lo sfogo degli istinti più profondi e bestiali: il recupero dell'uomo, quindi, attraverso la bestia. E se il veleno è il conformismo, l'ordine coatto e la repressione degli istinti, l'antidoto è il caos, lo sfogo sfrenato degli istinti stessi e l'abbandono agli eccessi. Una via, quella indicata (e praticata) dai Coil che è lungi dall'assumere connotati costruttivi e positivi (nel senso di un orientamento verso il meglio), ma che assume, puttosto, l'estremizzazione delle premesse negative insite nella società, una cura che contempla solo la soddisfazione della carne, il cui effetto non può che essere la distruzione e, soprattutto, l'autodistruzione. L'alone oscuro e nichilista che ammanta la musica dei Coil è quindi dato dall'implosione, dal collasso della psiche e soprattutto dai toni grigi ed inquieti di un tragico epilogo che si cela appena dietro l'angolo. In questo senso ritengo a tutti gli effetti i Coil una dell più fedeli incarnazione dell'arte dei primi Velvet Underground.

In "Scatology" il sound dei Coil è scarno, ma efficace nel suscitare quel senso di squallore e sporcizia che trasuda il mondo da loro raccontato: sodomia in un lurido cesso di un infido sobborgo londinese, la ricerca disperata di una dose di eroina nei vicoli più malfamati, gli schiaffi violenti di un pappone che vuole la sua parte. Sadismo, follia, oscenità ma anche tanta tanta ironia. Le drum machine caricate a manetta sono chiamate a sorreggere campionamenti assortiti, incursioni di chitarre, sinth e fiati (provvidenziale il contributo del polistrumentista Steve Thrower, che diverrà poi membro della band a tutti gli effetti). L'euforico cantato di Balance fa il resto, e se c'è da dire che per quanto riguarda gli arrangiamenti, la cura dei suoni e dei dettagli i nostri faranno molta strada, "Scatology" ci consegna degli artisti maturi e con una forte identità artistica (del resto i due non sono proprio dei novelli). Il lavoro si rivela così già irrimediabilmente pregno di quella morbosità che sarà il tratto distintivo della band. Le soluzioni adottate, inoltre, non sono mai scontate, e spesso vanno a pescare da un immaginario lontano dal canonico industrial: già dalle prime note della opener "Ubu Noir", che parte a razzo con la perversa manipolazione di un clarinetto da sagra paesana, ci rendiamo conto di trovarci innanzi a qualcosa di tutt'altro che dozzinale. L'album prosegue all'insegna di crudi assalti ottantiani, parti ballabili, tetri passaggi gotici ed indubbi guizzi di genio.

Inequivocabile l'influenza di una certa wave di inizio decade, che ci riporta alla mente le sonorità dei primi lavori dei Depeche Mode, spogliate però delle tendenze più piacione: il sinth-pop di Gore e soci viene trasfigurato e ricondotto ad ottenebranti spirali di paranoia e perversione; la new-wave, più in generale, viene riletta attraverso le lezioni di follia ed instabilità dei maestri Virgin Prunes, punto di riferimento essenziale per la formazione artistica della band. E in questo senso, gli esempi migliori rimangono "Panic" (cantata dallo stesso Thirlwell) e "The Spoiler", che rimarranno fra i classici più longevi dei Coil. Degna di nota anche la corsa frenetica del piano in "Clap", altro saggio di angoscia scanzonata.

C'è comunque spazio anche per momenti più inquietantemente meditativi, come il desolante assolo di clarinetto di "At the Heart of it All", accompagnato da minimali effetti di chitarra e catastrofici accordi di piano, o la vampiresca "Tenderness of Wolves", che vede la presenza, non a caso, dell'ugola malata di Gavin Friday, cantante dei già citati Virgin Prunes. L'amico Marc Almond, che negli anni si rivelerà ospite pressoché fisso in casa Coil, compare invece in "Restless Day", cantilena alienante e vagamente orecchiabile che dimostra l'abilità della band nel saper trasformare un potenziale hit in qualcosa di inquietante. L'apoteosi, a mio parere, si raggiunge con il crescendo allucinato di "The Solar Lodge", oscuro rituale dall'incedere traballante in cui la voce paradossale di Balance è un lamento ed al tempo stesso una minaccia. I pezzi che seguono, proseguono sulla stessa scia, andando a ripescare le atmosfere lugubri ed esoteriche del precedente EP, fra il lento ed ossessivo battito delle percussioni, allucinate performance vocali, squarci di oscure sinth e i fiati "decadentemente trionfali" in stile peplum.

Questo ultimo scorcio dell'album rende bene l'essenza della band, la cui musica diviene una discesa negli inferi attraverso il buco del culo, un viaggio in cui l'ano acquisisce connotati metafisici e simbolici, diviene un vero e proprio tempio, una porta che dà su un altro mondo: è la via di fuga dal confortevole, ma anche abbrutente mondo della vagina.

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