Il successo è una brutta bestia, è qualcosa che entra dentro di te, prende il tuo controllo, ne divieni dipendente e ne vuoi ancora di più, sempre di più. E' il buco nero in cui rischiano di cadere molti artisti quando raggiungono l'apice del successo e i Coldplay sembrano esservi addirittura sprofondati dentro.
Il precedente lavoro "Viva La Vida", il primo album della infruttuosa collaborazione con Brian Eno, aveva già fatto storcere il naso a molti fans della prima ora del gruppo inglese perla sua virata pop ma era riuscito comunque a raggiungere la sufficienza grazie ad una manciata di buoni pezzi. Questo disco non solo conferma il cambio radicale di stile della band ma lo estremizza rendendo quasi impossibile riconoscere in queste 14 canzoni lo stesso gruppo degli esordi, quello di "Parachutes" o dello splendido "A Rush Of Blood To The Head".
Se l'iniziale "Hurts Like Heaven" è incoraggiante e fa ben sperare per il prosieguo, poi questa resterà, invece, il momento migliore dell'album (insieme a "Major Minus") che da lì in poi si perderà tra le varie "Paradise", "Charlie Brown", "Every Teardrop Is A Waterfall", "Don't Let It Break Your Heart", in pomposità, synth ed elettronica di basso livello.
Ma siccome al peggio non c'è mai fine, questo si palesa prontamente in "Princess Of China", l'atteso (da chi?) duetto con Rihanna, qualcosa di impensabile fino a pochi anni fa.
Per i primi fans dei Coldplay non resta che mettere su un vecchio disco del gruppo e sperare che la sbornia finisca e tornino ciò che questi ragazzi erano, uno dei migliori esempi di pop-rock inglese dello scorso decennio. Ma si sa, il successo è una brutta bestia.
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