Nonostante tutto, è un disco bello.
Nonostante tutto perché, parliamoci chiaro, quest'album ha molti aspetti che fanno storcere il naso.

Mi appresto all’ascolto di quest'album, devo ammettere, con molto scetticismo tipico, per quanto mi riguarda, di tutti quei dischi che riscuotono un gran successo mediatico, di critica e di pubblico ed è uno scetticismo, spesso, difficile da mettere da parte.
Per quest album non è stato così.

“Parachutes” inizia con “Don’t Panic”, e non è difficile capire che il meglio dei Coldplay è affidato alla bella voce di Chris Martin. Questa è la prima “perla” del disco.
Andando avanti ci si accorge del delicato compromesso che attraversa quest'album: da una parte è evidente uno spirito artigianale, musica senza troppi fronzoli ma è pur evidente che i Coldplay subiscono in maniera eccessiva l’influenza dei Radiohead. Alcune canzoni sembrano uscite proprio da The Bends, né la voce riesce a discostarsi troppo dai canoni di Thom Yorke primo periodo.
Continuando nell’ascolto si scoprono almeno altre tre belle canzoni: ”Yellow” dolce e con un testo molto romantico, ”Trouble” malinconica suonata al piano senza dimenticare la stupenda “Spies”.

Tirando le somme, è un disco che ha meritato il successo che ha ottenuto, considerando pure che è un disco d'esordio. I Coldplay riprendono la formula compositiva dei primi Radiohead (come tanti altri gruppi) e, pur non riuscendo a nascondere questa fortissima influenza, realizzano un disco che al contrario di quanto fatto da molte altre band negli ultimi anni risulta piacevole e molto ascoltabile.
Assolutamente niente di nuovo né di complicato ma, nonostante tutto, è un bel disco. Nonostante tutto.

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