Non poteva piacere alla critica questo nuovo album dei Coldplay, sempre attesi al varco dopo l'ottimo esordio di "Parachutes" che balzò in testa alle classifiche inglesi e convinse alcuni autorevoli analisti a parlare di una nuova ondata di pop classica. La minaccia di una rapida estinzione ha sempre accompagnato i Coldplay, sin dalla spasmodica attesa del loro secondo album "A Rush Of Blood To The Head", che uscì dopo numerosi rinvii a causa delle rinomate incertezze del gruppo.

Stesso copione per il terzo album uscito ai primi di Giugno di quest'anno. "X&Y" è stato un parto travagliato, con tanto di cancellazione di un buon numero di canzoni già registrate, vittime di un ripensamento generale di Chris Martin e compagni: Guy Berryman (basso), Johnny Buckland (chitarra), Will Champion (batteria). 18 mesi per montare un album che ha finito per deludere coloro che speravano in una crescita del gruppo, coloro che avevano apprezzato il primo disco ma che avevano già cominciato ad arricciare il naso con l'uscita del secondo. "X&Y" è una sequenza di brani piacevoli, ma che suonano da un po' come il "braccino" tennistico, la paura di osare, paura di rischiare, forse di perdere il primato nelle classifiche. Il risultato non poteva essere che questo: disco monocorde, vagamente patinato, senza né la freschezza rimpianta di "Parachutes" né la suadente ritmica di "A Rush Of Blood To The Head". Il disco sembra essere uscito da un garbato lavaggio del cervello, la linea sul monitor risulta piatta e i picchi si contano sulla punta delle dita. Malgrado tutto ciò i Coldplay riescono a produrre melodie piacevoli, di pregevole e raffinata struttura melodica, sorrette dalla voce suggestiva di Chris Martin. Emerge un senso di "seduto", di appagato, che solo noi sappiamo in contrasto con l'animo inquieto della band.

Ma almeno la prossima volta i critici musicali non li attenderanno più al varco.

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