Un ragazzo si sveglia pensando ad una ragazza. Normale. I suoi percorsi mentali complicati, il rifiuto nel cuore. Si avvicina passivamente ad una chitarra, la sfiora, senza nessuna intenzione di toccarla, suonarla. Desidera solo il silenzio. Come un gatto si avvicina al suo pc. Lo accende , si chiede cosa possa fare. Per fuggire, per estraniarsi, per non soffrire. Conclude che non esiste un modo e che la sofferenza è un'inseparabile compagna dell'uomo. Ed è la sovrana, che regola tutta la vita. Decide, dunque di farsi male, di perforare quel pezzetto di cuore che gli è rimasto. Fra i suoi CD, ne sceglie uno. Non è particolarmente significativo, è un Ep che ha ascoltato un paio di volte, ma gli è piaciuto sin da subito. E' appunto "The Stars Are Dead Now", proveniente dal gelo del Nord.
Il disco si apre con la lenta ed inesorabile "This Empty Life", gelida ed unica nella sua progressione. La voce sotto è gracchiante, cupa, in pieno stile Dark-Ambient. Nella mente dell'ascoltatore si affacciano visioni di steppe ricoperte di neve, animali in letargo ed un fiore, che già prossimo alla morte spunta in questo nulla. Il cuore già inizia a perdere i primi colpi, il volto di Lei troneggia , come una "dark lady" di Shakespeare, sulle note violente ed iniziali di "Hate", secondo pezzo dell'Ep. Rispetto al primo , si nota subito la maggiore violenza musicale, la cui esplosività emerge nei rantoli del cantante. "Cancer" prosegue sul modello della precedente. Qui si può subito notare la grande influenza di un certo tipo di Black Metal sul gruppo in questione, data la presenza di una batteria piuttosto incalzante nella prima parte della canzone. La track successiva, ovvero "Suicide", forse la più suggestiva dell'album, in cui Georg Borner dà il meglio di sè. Molto malinconica, ma nel complesso meno fredda delle precedenti, è nobilitata dal main riff, che colpisce nel profondo dell'anima, già sfaldata in mille pezzettini dalle precedenti tracce. Se dunque questa ha il compito di smembrare del tutto l'interiorità, e di perforarla, per poterla dunque meglio risvegliare, e farla soffrire, la canzone finale, ovvero "The Old Ghost in the Well", ha il preciso compito di annullare e distruggere ciò che rimane. I grevi rintocchi sono quasi infernali, cupe le tastiere risuonano, in un coretto demoniaco dal sapore agrodolce e marziale al tempo stesso. Non è quella più veloce, la track in questione, ma quella più oscura, più lancinante e cupa. La vista si confonde, con lo scorrere dei minuti. La sofferenza, il dolore profondo, esistenziale ed unico portano all'espansione dell'anima, alla sua completa apertura e distruzione. Un furto di sentimenti, una rapina di emozioni.
Non rimane molto alla fine di questo Ep. Resta la consapevolezza, per il ragazzo iniziale, che volere non è potere e che nella vita nulla ti viene regalato. Che l'amore è un sentimento come gli altri. Che lei non è così bella, buona e perfetta come pensi. Che forse, con le note finali di "The Old Ghost in the Well", il tuo amore venga incorporato. Ma l'apatia resta, il dolore è più urlante che mai. La tempesta, questo urlo nero, è il preludio, però, alla pace finale, al momento in cui, stremato dall'ascolto, vibrante ed intenso , ti puoi abbandonare a riflessioni. Magari il suo volto troneggia ancora, ed i Coldworld sono stati solo un palliativo momentaneo, che ha dirottato il dolore mirato in ansia esistenziale. Non sempre il dolore è negativo, dunque. I primordi, l'inizio di questo viaggio nelle terre del nord, forse è stato solo tempo perso, a far rimuginare quel ragazzo sulla condizione finale della specie umana. Ma quando il male entra nelle orecchie per uscire dal petto, allora forse la vita non è persa. Solo un urlo, bisognerebbe lanciare. Un grido contro tutto quello che ci perseguita. Per arrivare fino in fondo, sempre.
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