Terminata l'avventura con i Wire, Colin Newman esordisce come solista nel 1980 con "A-Z", sotto la produzione di Mike Thorne. Un lavoro straordinario, che prosegue sulla strada segnata dai Wire con "154", esasperandone se possibile ancor di più il fattore nevrastenico.
"A-Z" è infatti un mirabolante affresco del modernismo, un recipiente colmo di paure ed ansie per un futuro incerto e pericoloso, carico di una tensione emotiva spesso prossima al collasso, ricco di spunti dannatamente affascinanti. Oscuro, claustrofobico, schizoide, proiettato in meandri grigi come il cemento, alto e imponente come un grattacielo che aleggia spietato sulle nostre teste pensanti, quasi a sfidare l'azzurro. Crocevia di vie troppo trafficate, alienato come un passante troppo inconsapevole, alienante come un'automobile troppo consapevole.
Veloce come un treno che sfida il tempo, glaciale come l'acciaio desolato dei suoi binari, vene immobili di un mosaico invisibile. Grida aiuto e disperazione la voce di Newman, straordinariamente adatta a rappresentare questo vortice di solitudine, quasi atonale, viene resa androgina dall'elettronica, padrona del disco assieme ai tic della batteria, incostante e cerebrale.
I 14 pezzi disegnano, ognuno a modo suo, uno straordinario viaggio tecnologico, in un incubo aberrante e distruttivo, futurista e maledettamante drammatico.
Squarci di synth, frasi violente di chitarra trattata, tastiere stranianti portano l'ascoltatore nel territorio che voleva l'autore: il caos.
Chi ama i Wire non può non apprezzare questo disco, degno di essere ricordato come un capolavoro.
Voleva spaventare, disturbare, deturpare: ci riuscì, e per questo sparì in fretta.
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