Capita talvolta che in un anno denso di uscite discografiche sfugga alle orecchie dei più qualche piccolo gioiello musicale, qualche piccola delizia che la casualità può far scoprire nel rumore della quotidianità e dei suoi oggetti, un suono perpetuo di carillon proveniente dalle mani di una docile francesina da poco affacciatasi al mondo della musica.

Cécile Schott, Colleen in arte, è l'autrice di questo lieve ricamo.

"The Golden Morning Breaks", ecco il nome della nenia che incanta col suo fare lieve per poco più di 45 minuti, il nome di castelli barocchi, il richiamo di foreste di un'antica Provenza, la stasi di ghiacci stalagmitici che il tempo ammanta di obsolescenza.

E il suono di un carillon che traccia l'incedere dell'esistenza.

Così, tra suoni di archi e corde di chitarre il ricordo affoga nella "Summer Water" di qualche tempo prima, in un piccolo strazio che anticipa già i sentori profondamente malinconici del disco: "Floating In The Clearest Night" poco dopo proietta animo e membra in un tempo ancora più lontano, in una notte che racconta di gesta antiche e di piccoli drammi. Ci lascia ammaliare, ma con un sentore di melancolia, attraverso le chitarre di "Sweet Rolling".

Ride con sorriso perlaceo "The Happy Sea", lo stesso mare di "Summer Water", un mare sospeso tra fiaba e ricordo, cristallizzato attraverso suoni acustici e artefatti, dolceamaro, vespertino. Bolle d'acqua vi galleggiano sopra, spezzandone la quiete, conchiudendo torbidamente il fragile racconto di un antico trovatore.

"Mining In The Rain" ci riporta al suono del carillon di "The Heart Harmonicon", e in esso ancora una volta, il ricordo si strugge.

Sorge il mattino dopo aver visitato il meriggio e la sera: ci restituisce una lieve parvenza di atarassia nella title-track, ma naufraga subito dopo nella lunga suite di "Everything Lay Still", ove nell'incanto di una pioggia di note cristalline tutto riposa in una struggente staticità, in un'ammaliata requie in cui sembra che tutto giaccia controvoglia, senza la forza di sollevare un grido di protesta.

E poi quel suono di carillon, che segna l'incedere dell'esistenza.

Vorremmo che non rallentasse.

Non ci ascolta.

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