Tutto parte da Monaco, nell'agosto del 1994, quando il grattacielesco chitarrista Stefan Koglek richiama a sé due vecchie conoscenze della sua infanzia musicale: Christian Wieser (bassista che aveva accompagnato Koglek nel gruppo jazzcore Surface Tension) e Tim Hofer (già batterista degli Organised Noise, formazione goth-punk che in quegli anni aveva raccolto un buon successo nella scena locale).
Al terzetto basta un anno per arrivare alla pubblicazione di "Chopping Machine" ('95), esordio stampato in sole mille copie dalla piccola label "David Records". Un disco che, forse, trova la sua migliore descrizione nelle parole dello stesso Stefan, in un'intervista di qualche anno fa:
"It`s a different band that plays different music, darker and harder than now. Not a bad album, but just very much different"
Non un brutto album, soltanto molto "diverso".
Diverso perché tetro, sinistro, lontano anni luce da quel mood flauerpoueresco, da quel macroriffing di distorsioni valvolari che ti pettinano i peli del coppino, da quel gusto romantico per la melodia e il "crescendo" strumentale che caratterizzano le produzioni più recenti della band.
La sensazione è davvero quella di trovarsi per le orecchie il ruminare di un mostro di zanne e metallo che mastica riff acidi, maciulla suoni slabbrati, sminuzza distorsioni disidratate.... e sputa otto lunghi brani in cui si mescolano riff funky-medal oscuri e minacciosi, ripetuti ossessivamente come i gospel di una catena di montaggio ("Why Don't You"), e sonorità stranianti che rievocano le impertinenti sonde aliene di un film di fantascienza anni '50 ("Chopping Machine").
Musica nervosa e melmosa, che preferisce l'inquietudine alla poesia: un "Blob" di ritmiche zoppe e malate ("Mud"), in cui vengono a galla brandelli di dissonanze oblique, rimasugli di claustrofobia à là Neurosis e rigurgiti tooliani da stanza delle torture.
Un disco certamente imperfetto, prolisso e mal prodotto, eppure non del tutto privo di fascino, dotato di una cupa lucentezza. Un disco tra le cui pieghe si può già intravedere il germe di quel chitarrismo eclettico che farà la fortuna del gruppo nei successivi lavori.
Complice una distribuzione pressoché inesistente, "Chopping Machine" non otterrà alcun successo commerciale. A poco più di un anno dalla sua uscita, inoltre, Stefan si vedrà costretto a fare i conti con gli abbandoni di Tim (alla volta dei Tailgate), e di Chris. Occorrerà aspettare il 1998 prima che le sorti del gruppo vengano ringalluzzite da un batterista hardcore (Manfred "Manni" Merwald) e un bassista che, prima di allora, non aveva mai suonato in una band (Philipp Rasthofer).
Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia...
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