Non ci sono cazzi mi sono preso una fissa per questi gruppi che fanno tanto fik_ in DeBaser e così posso dire quello che cazzo (ridondante) mi pare tanto, non li conosce nessuno! o quasi …altrimenti mica me li invento così di sana pianta.

Onde evitare di fare grosse e grasse figure di merda, mi sono debitamente informato sul gruppo in questione, al fine di avere maggiori possibilità di fare il “P”rofessore e pisciare in testa a tutti …..HAha!!! HAhahaHHA!!!
Il solito testa di cazzo penserete, ma in queste mie velleità ho trovato il coraggio, di buttarmi metaforicamente  in “Stage Diving” su questa recensione.

Ho sempre adorato i gruppi ridotti al minimo del personale, terzetti baccanali stile anni 60 improvvisati nei garage sotto casa, i Colour Haze, che fanno tanto Purple Haze, non fanno eccezione.

Negli USA  a metà degli anni 70 si era soliti pesare la validità di qualcuno con la celeberrima: "Do they walk it like the talk it?" (Camminano per come parlano), penso che non facciano eccezione questi tre ragazzi, provenienti terra dei motori (Germania), Stefan Koglek, Manfred Merwald e Philipp Rasthofer.

Le capacità dei tre riescono così a dar vita, ad una serie di innovazioni per il genere Stoner, performante su di una sperimentazione pschidelica, che fa eco a quegli effetti ridondanti e masturbanti, con distorsioni epilettiche e feedback, tali da “sciogliere” l’ascoltatore, proiettandolo opzionalmente tra le braccia di Morfeo o Bacco, fate vobis.

Il tutto trova facile suggello tra le ambientazioni vagamente orientaleggianti che s’inseriscono nei fendenti iconoclasti e deviati, di estrazione tipicamente blues, “improvvisati” da Koglek & Co. in una jam session malsana; roba da far venire giù i palazzi.
Il tutto è straordinariamente stemperato o se vogliamo imperniato in quei momenti catartici, le cui distorsioni acide sono trafitte da bagliori impercettibili, vocalizzi primordiali e da brandelli psichici dai contorni esistenziali oscuri e indefinibili.

Luci stroboscopiche scivolano insidiose sul volto degli ascoltatori, oramai prigionieri di una bolgia sonora, mentre l’eco pschidelico del trio, intento a disegnare splendide triangolazioni di accordi velenosissimi, come  a voler bruciare tutto ciò con cui vengano a contatto finanche rarefacendo l’aria stessa, ha ormai narcotizzato le proprie sinapsi in un ambiente strinante e irrespirabile, tinto di quell'aroma soporifero di incenso e marjuana.

Avete idea di cosa significhi “deflagrare” bhe! ascoltatevi la prima traccia, Always me, appassionata ed epilettica, figlia di un basso onnipresente, devastante la terra sotto il palco, mentre le mitragliate incendiare delle sei corde di Koglek sono in pieno command con una sezione ritmica rutilante e pestona, e le urla sconsacrate e supersoniche, si susseguono una battuta di chitarra dopo l'altra.

Il tutto trova rifugio in quei barlumi narcotizzati di Antenna, i cui momenti catartici di assoluta calma, sembrino voler solo rallentare la devastazione creata intorno a se.
Pulse, lancia una sezione ritmica tipicamente Tooliana (Undertow) abbandonata in mezzo alle corde di un basso e di una chitarra, furibonde e nocive, continuando la deflagrazione sonora del progetto, mentre il tutto incrementa la propria portata raddensandosi lentamente in una dissacrante ed acida Sun.

Non c'è spazio per i tentennamenti, come suggerito dalla Title-Track, una nenia strumentale suicida e sfrenata, fatta di distorsioni graffianti e cadenze psichedeliche, per poi addolcirsi in una close-track Breit Return dal sapore blues, distorto e acido, che ricalca i sapori hendrixiani.

UUUUUUUUUUUUUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYY

AAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRGGGHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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