Una delle cose che più mi divertono di oggi è l'accumularsi di etichette e generi per descrivere a priori cose che non ne avrebbero bisogno. Capisco che si senta la necessità di orientarsi nell'immensa giungla di artisti che internet ha reso alla portata di chiunque. Però fa ridere, soprattutto nelle riviste on-line, leggere una sfilza di quattro generi per un qualsiasi disco da strapazzo: uno per descrivere l'attitudine del musicista, uno per le influenze che sfoggia, uno per la scena cui appartiene e, se è il caso, uno per quello che suona realmente. Ammesso che abbia senso parlare di attitudine in un mondo in cui ironia e atteggiamente rendono spesso inutile chiedersi "se uno ci crede o no", cercare una scena quando esiste appunto internet e chiedersi se esistano ancora generi delimitati e chiusi nel 2015. Nel mentre la stampa generalista, soprattutto anglosassone, affronta l'argomento "proliferazione di cazzate inutili" fomentando polemiche interessantissime e per nulla pretestuose come "Ma gli altri giornalisti hanno detto FKA Twigs fa R'n B solo perché e nera, mentre in realtà canta altre robe?". Sia chiaro: sto solo fotografando lo status quo, non voglio aprire un dibattito né condurre una battaglia contro i mulini a vento, non dico che tutto ciò sia sbagliato o che si stava meglio quando si stava peggio ed eravamo felici con nulla. Dico però che queste seghe mentali spesso e volentieri non portano da nessuna parte (quando va bene) o ci portano ad ascoltare con attenzione cagate immonde solo perché qualche debosciato ha cercato di ricoprirle d'oro ad ogni costo. Il debasio è dopotutto un'isola felice in un mare di fuffa e di emicrania, e ci sono posti là fuori in cui esiste una regola non scritta che impone di parlare di tutto ciò che circonda un disco ma non di ciò che contiene veramente.Forse perché bisognerebbe ascoltarlo il disco, buttarlo su e goderselo.
Proprio ora voglio rilassarmi, e sto ascoltando In Decay del bravo Com Truise, un tizio che abita nel New Jersey e fa musica elettronica. Bisogna di scomodare il termine synthwave per sapere che è roba piena di syntozzi anni '80 ma non è degli anni '80 bensì del 2012? Serve leggere synth funk per sapere che è pieno di grassi bassi funkettosi ma è tutta musica elettronica? Aiuta forse l'etichetta chillwave per sapere che ascoltiamo qualcosa di calmo e rilassante, discreto ma né banale né grossolano e plasticone, utile sia per un ascolto attento che come musica di sottofondo? Al di fuori della musica, quello che ci dice più cose su cosa troveremo all'interno di In Decay è la copertina. Quelle spigolosità ed accostamenti cromatici richiamano alla memoria i soliti anni '80 e primi '90, anche se all'epoca quella roba, più che sulle copertine dei dischi, si trovava nei telefono SIP, nei case dei Commodore 64 e nelle sigle televisive. Roba di oggi suonata da gente di oggi che prende in prestito pezzetti di ieri per creare qualcosa di oggi. Per cui no, niente seghe mentali, niente revival inutili e niente pacchianerie. Qui c'è solo qualcosa di tranquillo che mi piace ascoltare mentre mi faccio gli affari miei.
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