A volte mi chiedo come certa gente riesca a campare.

Faccio un esempio: è da tempo immemore che cercavo di reperire qualcosa di Con-Dom, la cui discografia completa, immagino, non esista nemmeno nel salotto di Mike Dando, leader ed unico componente del progetto. Quale migliore occasione, allora, se non riesumare un suo prodotto qualsiasi al Congresso Industriale che nell'edizione di quest'anno avrebbe ospitato la performance di quello che può essere definito fra i migliori front-man dell'intera scena power-electronics?

Niente: lo stand presente all'evento si limita ad ospitare ben pochi lavori del nostro uomo, che evidentemente non campa di musica e non ha bisogno di vendere i suoi lavori nemmeno ai gonzi ben disposti come me. La mia attenzione ricade inevitabilmente su una sfilza abbondante di questo sconosciuto “Live in Japan 2003”. Cosa fare? Ovviamente raccattare quel che passa il convento e sperare che la Dea (bendata, e forse anche un po' sorda) del Rumore saggiamente guidi la mia mano nell'improvvido acquisto.

Sulla devastante performance di Con-Dom c'è in verità poco da ridire. La prestanza fisica di Mike Dando sul palco è a dir poco calamitante: come consueto il Nostro si presenta a torso nudo; strisciate di sangue vergano il suo corpo e il suo volto dagli occhi spiritati. Doppio microfono in bocca: le grida lancinanti che escono dalla sua cavità orale sono il perfetto corredo allo stridore delle macchine che infestano le orecchie degli astanti e rappresentano al meglio quella condizione di Controllo-Dominazione che sta alla base della sua visione artistica. Una concezione caotica della società in cui l'individuo viene privato della sua umanità e della sua libertà dall'Organizzazione e dalla Manipolazione Mediatica. Politica e Religione sono i bersagli che l'artista britannico decide di percuotere senza pietà con il suo industrial-noise vecchia scuola (la fondazione del progetto risale al lontano 1983), sullo stile di act seminali quali NoN, Whitehouse e Genocide Organ. Non solo una provocazione fine a se stessa, bensì l'applicazione di un metodo di comunicazione ben preciso che vede come suo fulcro il Confronto: dimensione unica in cui possono esplicitarsi le contraddizioni occulte del sistema, palcoscenico terribile in cui può concretizzarsi la traumatica formazione di una intelligenza critica, la devastante assunzione di un punto di vista altro, il difficile approdo ad una più completa comprensione della realtà.

Una musica, quella del Dando, che è l'apoteosi dell'odio, del dolore, della paura: gli strumenti del Controllo e della Dominazione. Una musica che forse risente del fatto che dietro al progetto si celi una sola persona: non di certo un genio dell'elettronica, ma senz'altro un onesto artigiano del Rumore. E per Rumore, questa volta, s'intende per davvero il rumore: esplosioni sonore di una cacofonia indicibile, spesso frutto di stratificazioni sonore che già prese singolarmente sarebbero un attentato ai nostri timpani, figuriamoci se messe insieme sotto forma di sciame di api assassine assetate dei nostri neuroni. Solo a tratti le spigolosità del sound di Con-Dom sembrano addolcirsi per mezzo di tragiche orchestrazioni conficcate nel cuore del caos: un espediente che, in verità, non fa altro che accrescere l'angoscia e la claustrofobia generata nella mente dell'ascoltatore.

Con-Dom è quindi un'esperienza multi-sensoriale, la brutalità offerta alla vista (le orribili video-proiezioni ed ovviamente il rantolarsi insensato del vocalist, che sovente si fa frustare dal vivo per raggiungere quel tocco di agonia in più che non guasta) è pari a quella servita alle orecchie. Per questo “semplicemente ascoltare” un album di Con-Dom è irrimediabilmente un'esperienza mutilata, privata di una sua fondamentale componente: quella visiva.

Anche la scelta di pubblicare un live “registrato” in Giappone “ non è fatta a caso, dato che la terra nipponica, oltre che costituire da sempre la patria dell'Estremo, è anche vista come una possibile via per redimersi dalla massificazione della degradata cultura occidentale (made in U.S.A., of course!). Peccato che “Live in Japan 2003” non trasponga in musica gli alti intenti: il lavoro è più che altro penalizzato da pessimi suoni, che ovviamente non aiutano la fruizione dei 6 brani qui riproposti, fra l'altro trascritti in un'unica traccia di 38 minuti, altra scelta altamente discutibile.

Premere play significa quindi stare abbastanza male. Uno tsunami di dissonanti scricchiolii e bassi impalpabili si avventerà su di voi. No, vi sbagliate: non è il rumore dell'autobetoniera che presumete abbia appena parcheggiato sotto la vostra finestra; no, non è stata appena inaugurata una nuova catena di montaggio nelle vostre stanze; no, il frullatore in cucina non è impazzito e non sta saltando alla vostra carotide. E' semplicemente iniziata “Blue Sky”, un'agonia sonora che troverà compimento solamente con l'ultima, sofferta, logorante “Many are Called but Few Get Up”. Non mancano gli spunti vincenti: solamente non si sentono, non si riconoscono in una nube di suoni impastati e densi, dove anche i latrati disperati e il carisma vocale del Dando si perdono in echi e riverberi che raramente colpiscono nel segno. L'unica presenza amica, infine, sembra essere il tasto stop, ultimo passaggio possibile ad una dimensione che possa riportare nella nostra mente pace e silenzio.

Perché allora la decisione di scrivere una non-recensione come questa? Anzitutto per portare nelle case di tutti noi una piccola parte (probabilmente non la migliore) di un artista che altrimenti sarebbe relegato in squallide pagine in bianco e nero nei peggiori bassifondi internettiani. In secondo luogo per fare un appello disperato: c'è qualcuno là fuori che possa parlarci con cognizione di causa di Con-Dom ed insegnarci qualcosa sulla sua aspra visione artistica? Ma soprattutto esiste qualcuno che possa indicarci la via per districarci in una discografia che, seppur difficilmente reperibile, conta una miriade di nastri, cassette, vinili e quant'altro possiamo immaginare?

Nel frattempo rimango in attesa di intercettare il seminale debutto su vinile “The Eighth Pillar”, ma chissà quanta altra sporca strada dovrò fare...

 

Carico i commenti...  con calma