Era il 1995 e veniva dato alle stampe il terzo (e penultimo, mannaggia la miseria!) lavoro di Tore Østby & Co., terza conferma della loro bravura e terzo rimpianto per il quasi totale menefreghismo che questa band ha immeritatamente subito da più parti nella propria carriera soprattutto dai media e dagli addetti ai lavori.

Senza nulla togliere al predecessore, ci troviamo davanti un autentico Masterpiece; questo album completa la "trasformazione" delle tastiere da comparsa (nei precedenti album) a elemento essenziale. Le composizioni ben amalgamate, sempre più complesse e prog, ma anche più godibili e ricche per ascoltatore, e la tecnica unita alla melodia, mai stucchevole o auto compiacente, rendono questo lavoro il migliore della discografia della band. Migliore come creatività, maturità nel songwriting e definitiva consacrazione dell'accoppiata vincente Østby/Khantatat, capaci di dare corpo, con linee melodiche pressoché perfette, a tutte le canzoni.

Le tracce sono arricchite con componenti progressive metal suonate con una tecnica sempre impeccabile e mai sterile, fredda o scontata. Anche l'utilizzo di tempi dispari e i numerosi cambi di tempo, non fanno mai venire il dubbio che utilizzino la loro bravura per puro "esercizio didattico". Non mi vorrei soffermare su Roy Khan, ma davanti ad una così bella e versatile voce non posso far altro che un plauso alla grandezza di questo cantante sottovalutato e, suo malgrado, sovrastato dall'ombra di cantanti più blasonati, ma che, alla fine dei conti, riesce a superare sia come range utilizzabile che come interpretazione. Riesce a passare da parti con voce profonda e quasi teatrale, a parti in vibrato, a momenti veloci con un cantato aggressivo e preciso, ad altri con acuti da pelle d'oca, il tutto rimanendo incredibilmente pulito e melodico: ineguagliabile.

Anche in questo album la già citata melodia è sempre la componente fondamentale delle canzoni e l'unione con le parti più heavy è sempre azzeccata; mai fuori posto risultano le tastiere che impreziosiscono il magistrale lavoro del geniale Tore alla chitarra; sempre indispensabile e inappuntabile il lavoro della sezione ritmica affidata a Heimdal (batteria) e Amlien (basso). Potrei compiere un viaggio tra tutte le tracce, ma sarebbe troppo lungo e dispersivo, quindi ne cito solo due. La bellissima ballad "Sanctuary": con arpeggi di chitarra e la guida della voce di Roy che ci portano per mano in un brano che sfiora i 3 minuti e ci regala sensazioni uniche ed irripetibili. L'altra canzone (non avete idea che fatica ho fatto per decidere) che più di ogni altra rappresenta l'evoluzione di questi grandissimi professionisti è "A Million Gods": completa. Melodia, potenza, groove, velocità, cambi di tempo, unisoni chitarra/tastiera, drumming spacca ossa, ma anche parti con arpeggi spagnoli, assoli di chitarra e di tastiera ed un?interpretazione vocale al limite della perfezione; forse la migliore (o almeno la più completa) canzone di sempre della band.
Potrei citare tutte le altre canzoni o nessun'altra, ma non farebbe differenza, vista la qualità assoluta di ogni singolo secondo di ogni track.

Il voto reale a questo album sarebbe 110 con lode e bacio accademico. Non credo di esagerare dicendo che questo album può essere messo tranquillamente, e senza il benché minimo complesso di inferiorità, accanto ai migliori lavori di Dream Theater, Pain of Salvation e Queensryche (per citare solo alcune band tra le più famose).
Il solo mio rammarico riguardo queste canzoni è che ho scoperto questo album quasi 10 anni dopo la sua uscita, non fate il mio stesso errore, ve ne pentireste.

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