Considerato il miglior album della carriera dell’allora giovanissima band norvegese, questo loro secondo lavoro si allontana dai binari marcatamente power/thrash della prima uscita discografica (The Last Sunset), per abbracciare concetti ancor più orientati verso il progressive metal.
Diminuisce l’utilizzo delle ritmiche veloci e d’impatto del loro recente passato, tali soluzioni iniziano ad essere sporadiche a favore di aperture melodiche di pregevole fattura, peraltro già accennate nel debut album. Le musiche sono sempre molto ispirate, fresche e quasi tutte uscite dalla sola mente del chitarrista e fondatore della band Tore Østby che offre un’ottima prestazione per idee e capacità tecniche.

L’album si apre con “Water Confines”, un up-tempo di grande valore che ci fornisce le coordinate di Parallel Minds. Già la seconda traccia ci porta ad uno dei vertici compositivi ed interpretativi dell’album. “Roll The Fire” è uno dei tanti mid-tempo dell’album che esalta l’opera della voce di Roy. Eccoci alla lenta ma molto heavy “And I Close My Eyes”, uno dei migliori episodi dell’album, mirabile il cambio di tempo centrale con Roy che giostra alla grande gli accenti della musica. Tutto si rallenta e diventa splendido davanti a una delle migliori ballad che si possa sentire in campo metal. “Silent Crying” (che a me farebbe piacere sentire suonata solo con chitarra e piano) fa risuonare limpida nello stereo la splendida voce di Roy che dipinge vibranti melodie accompagnato dai suoi colleghi in un pezzo composto ed arrangiato veramente benissimo; toccante e delicata come un soffio di vento termina lasciando spazio alla title track. “Parallel Minds” è la canzone alla Conception per eccellenza in pieno stile power/thrash non veloce come in passato, ma ugualmente incisiva, con un ritornello che ti si stampa subito in testa. “Silver Shine” è ancora un banco di prova per Roy, che anche sta volta non sbaglia nulla, e finalmente sentiamo utilizzare tutta la sua estensione vocale, è incredibile come riesca a mantenersi sia melodico nei bassi che pulito su acuti che pochi cantanti riescono a raggiungere con la stessa disinvoltura. Arriviamo ad altre 3 perle di autentica bellezza: “My Decision”, “The Promiser” e “Wolf’s Lair”. La prima cadenzata e metallica, con un riffing di rara bellezza ed un ritornello oscuro: da brividi; la seconda, dopo un’introduzione veramente unica, si lancia in aperture decise e potenti che riescono comunque a non perdere di vista la melodia; la terza invece è la più heavy dell’album ed il lavoro di batteria è quanto mai azzeccato: il groove di questa canzone è veramente pazzesco e fa sperare che il brano non finisca mai.
L’ultima track è quasi una suite di 9 minuti divisa in 3 momenti. Malinconica, melodica e quasi drammatica nel cantato iniziale, “Soliloquy” è la più progressive dell’album e tocca veramente il cuore dell’ascoltatore nei primi 2 minuti e mezzo con leggeri arpeggi di chitarra, riceviamo poi uno scossone heavy nella seconda parte e poi, con l’arpeggio iniziale, torniamo a momenti di calma apparente prima dell’ultima accelerata heavy.

Dalla prima all’ultima canzone notiamo solo la mancanza di una caratteristica che aveva impreziosito non poco il precedente lavoro, cioè gli inserimenti di chitarra classica con accenti spagnoleggianti. Di contro abbiamo le tastiere presenti in tutte le canzoni, anche se solo nello sfondo, che fanno intravedere un uso più massiccio nei lavori futuri.
La tecnica dei 5 è notevole, ma una menzione speciale va ad ogni singolo assolo di Tore: tutti da mettere nella “libreria degli assoli” di ogni buon amante di questo strumento.

Album splendido che mi sento di consigliare come acquisto ad occhi chiusi, come del resto tutti gli album di questa band.

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