1)
Ad esempio, quella volta che gli Skiantos sul palco fecero gli spaghetti i Confusional c’erano.
Suonarono immediatamente prima…
Era il festival di “Bologna rock”, sottotitolo: “non succedeva da cinque secoli”.
Che Bologna allora era quasi il centro del mondo e la confusional music la rappresentava benissimo: non era punk (se non nell’attitudine) e non era nemmeno rock.
Cos’era allora?
Ah, la confusional music era una specie di malattia incurabile del jazz rock che si accapigliava con i ritmi sghembi del post punk, tanti riff tra lo scemo e l’eccitante sparati a mille all’ora. Che quasi avresti detto che la torre degli Asinelli sarebbe crollata davvero.
(Cazzo, avrei potuto esserci anch’io...era il 79, avevo sedici anni...ma non c’ero…)
(Fa niente, di quel concerto ho la cassettina, prodotta da Harpo’s bazar, di li a poco Italian Records).
2)
Si può fare di tutto, immagino. Tipo mischiare Schonberg al liscio romagnolo o le ciliegine alla fricassea. Magari vien bene, magari no.
Il guizzo ha valore di per sé, ma spesso la prova dei fatti mostra un’altra faccenda.
Non tutti i “perché non facciam così?” funzionano...e in ogni laboratorio alchemico che si rispetti devi stare attento a dove cammini per non pestare i residui degli esperimenti falliti.
Solo che, in arte, del fallimento non ci si accorge subito...non l’artista, sempre indulgente con le cose che fa, non l’ascoltatore, invischiato nel loop delle coordinate storico/culturali del momento. Ecco allora che certe prelibatezze a distanza di anni impastano la bocca e per digerirle ti ci vuole mezzo chilo di Citrosodina.
E comunque dio abbia in gloria tutti i “perché non facciam così?” E abbia in gloria il periodo del post punk in cui il “si può fare di tutto” era davvero la regola. E non passava settimana, per non dire giorno, in cui un nuovo tipo di suono non prendesse la strada per le tue orecchie, mente, cuore.
Di quelle cose molte sono invecchiate piuttosto bene, altre invece oggi suonano forzate e in certi casi, addirittura ridicole.
E, ahimè, il grosso della new wave italica casca nella seconda categoria, non tanto ( o non solo) per i rischi che si correvano in laboratorio, ma perché, il più delle volte, ci si limitava a revisionare con poca o punta brillantezza i prodotti usciti dai laboratori altrui.
Poi, certo, tutti (anche noi ascoltatori, ovvio) militavamo nelle schiere delle ombre notturne, parodistici al massimo grado senza rendercene conto.
Ci sono state però luminose eccezioni, ovvero casi in cui il mischiare (in modo apparentemente incoerente) i più svariati elementi ha dato esiti degni della libertà espressiva promessa. E dove non ci si limitava a ripetere pedissequamente suoni (e riferimenti culturali sottesi) in voga.
Una di queste eccezioni è proprio il Confusional Quartet.
3)
Essere originali non significa non avere influenze, significa avere un suono unico e riconoscibile, nel caso Confusional un favoloso ibrido tra Area e Devo...
E Area/Devo, per tornare da dove siam partiti, è come dire fricassea e ciliegine: solo che funziona…funziona eccome...oggi quasi più di allora.
E non è che sembrano ogni tanto gli Area e ogni tanto i Devo, no...sembrano sempre (sempre!!!!) gli Area più i Devo...e quindi né gli uni, né gli altri, ma appunto il loro ibrido…
Un ibrido che è solo, ed esclusivamente, il Confusional Quartet
Che poi Area più Devo mica l’ho detto io, L’han detto loro. Cioè, han detto che erano i loro idoli. E’ per questo che ho deciso di scrivere la recensione. Non avrei saputo come cavarmela se no. E’ bello dire, ah si, cazzo è proprio così.
Che poi, ovviamente, è così solo in parte. Che c’è un sacco di altra roba in mezzo: il futurismo, che allora il futurismo andava alla grande...la no wave, che andava alla grande anche quella...e, forse, in più, qualche divinità minore molto fine novecento a soffiare sulle note...
Si, si, un sacco di altra roba…
Ma, insomma, Area più Devo suona bene. E mi garba assai,
4)
Altre due cose.
I nostri erano un gruppo strumentale, faccenda sempre piuttosto perniciosa e che, dal punto di vista di una collocazione su un mercato come quello italiano, non porta mai da nessuna parte. Siete jazzisti? No? E allora come cazzo vi permettete di fare musica strumentale?
Quindi, ancora una volta, lode al coraggio.
In più erano dotati di quella qualità rarissima che è l’ironia. Certo, allora era una caratteristica del luogo (Bologna) e dei tempi, si pensi a Scozzari, a Freak Antoni, a gruppi come Stupid Set e Hi,Fi Brothers, a certe frange fantasiose, e a dire il vero minoritarie, dei movimenti politici di allora.
Però, insomma, è quella cosetta li che ha rischiato di far crollare la torre degli Asinelli…mica la erre di rock che, nella locandina del festival Bolognese, appunto, trafiggeva (aiutata dagli Ufo) la più alta delle due torri.
Non la erre, ma la i…oppure, chissà, tutte e due insieme…
5)
“Volare”, cover del celeberrimo brano di Modugno, nonché primo 45 dei nostri, è il più perfetto paradigma della loro musica.
Inizia con una iper accelerazione in media res, prosegue con una teoria di motivetti di felice e frenetica assurdità (tra i quali per poco si riconosce “Volare”) e ritorna , chiudendosi e cerchio, all’iper cinesi iniziale.
Il brano, in controtendenza rispetto allo scimmiottamento di riferimenti culturali angloamericani, è un recupero, per quanto folle e strampalato, di materiali italici...una cosa tipo Marinetti e Modugno a braccetto sotto i portici di Bologna.
“Nedbo Zip”, il lato b, è una cosa quasi Rock (oh quasi, eh...) che ripetendo in modo diverso lo stesso riff, procede per accumulo e arriva con rari intermezzi a un finale assai confusional.
E confusional significa assurdo ed eccitante...insomma, un 45 della madonna.
6)
Dopo “Volare”, i nostri pubblicarono quello che, per molto tempo, è stato il loro unico album. Trattasi di uno dei massimi capolavori della Wave mondiale. Non fossero nati a Bologna (anche se Bologna è stata per un attimo il centro del mondo) chissà cosa sarebbe successo.
Trallallà…
E un bacio a mamma avenguardia (a patto che non si prenda troppo sul serio)...
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