Su Constance Demby si sa molto poco: la sua vita e’ avvolta dalle nebbie del mistero. Si sa che e’ californiana, che e’ una multi-strumentalista e che a un certo punto della sua vita ha cominciato ad appassionarsi alla musica new age e ha fondato un’etichetta discografica tutta sua, grazie alla quale ha cominciato a pubblicare dischi. Nel lontano 1986 ha dato alla luce quello che e’ considerata una pietra miliare del genere: il Novus Magnificat. Il disco e’ suonato da lei con l’aiuto di un solo assistente, Michael Stearns e gia’ questo la dice lunga. Se poi aggiungiamo che l’opera e’ completamente eseguita con uno dei primi sintetizzatori di samples elettronici, diventa quasi incredibile, perche’ il disco sembra effettivamente eseguito da un’orchestra.

Da quando ho scoperto quest’opera la mia vita e’ cambiata: vago di notte sotto lo sguardo implacabile delle stelle, e questo e’ l’unica musica a darmi sollievo, perche’ scorre limpida e mi inabissa dentro il mio vero Io. Ed e’ pura magia il modo in cui tinteggia aquarelli liquidi, piccoli stagni limpidi che riflettono il firmamento.

E’ musica quasi metafisica, questa, per alcuni addirittura platonica. Ma se Nietzsche aveva ragione, dovremmo fare della terra il nostro cielo. E Constance Demby ci riesce: vedo la sua non come un’ opera dedicata al mondo dell’aldila, ma piuttosto un ode metafisica alla fisica, un’omaggio ultraterreno alla vita terrena, che mira ad avvalorare il mondo naturale, invece che a svalutarlo considerandolo solo lo specchio offuscato di quello divino. Musica che trova nella finitezza la sua immortalita’. Il tempo frammenta gli anni in giorni e polverizza i giorni in ore, fino al momento in cui ci rimane in mano nient’altro che la sabbia fine dei minuti. E i secondi? Forse la polvere in cantina, in cui giacciono stanchi i miei vecchi vinili. Quando non ci saro’ piu’, saranno loro a testimoniare chi ero. E quando non ci sara’ piu’ Constance Demby, sara’ la sua musica a ricordarla.

Due lunghe suite che si snodano in fiumi che si riversano dal cielo, confluendo dalla sorgente dell’estasi: tutto inizia da un soffice sottobosco muschiato di sintetizzatori, da cui svettano come alture avvolte da nubi madreperlacee gli evanescenti canti gregoriani. Questa musica evapora dalle acque e ascende al cielo fondendosi con le stelle e non nasconde la sua parentela con le opere di Bach.

Quando ascolto questo disco cavalco le nuvole, e non mancano quei momenti in cui m’avvito in picchiata, in giravolte talmente struggenti da farmi sentire leggero lo stomaco: i violini lacerano l’anima, ma l’effetto da montagne russe svapora e le note mi riportano verso l’estasi trascendentale, facendomi sprofondare nell’acqua dell’oceano. Qui cammino incantato lungo i fondali marini, i pesci a danzare pigri sopra la mia testa, le alghe a ondeggiarmi accanto come enormi alberi battuti dalla tramontana. Se volete venirmi a fare compagnia, allora comprate questo disco.

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