"Axe to Fall" ha corso un rischio davvero grosso: atteso per anni, rischiava forse di essere "soltanto" il nuovo disco dei Converge. Potente, cattivo, rabbioso, ma anche già sentito, incolore, sciapo: un album la cui sola vera novità è l'imponente quantità di ospiti, "un disco composto troppo col pilota automatico", dice un bel famoso sito Metal, e la definizione può sembrare azzeccata.

Ma non del tutto: il trio iniziale di "Dark Horse" (splendido l'incedere spezzato), "Reap What You Sow" (qui gli Slayer si sentono eccome) e la bestiale "Axe To Fall" (quest'ultima forse troppo simile ad un certo episodio di "No Heroes") fanno impressione anche nell'imponente discografia del gruppo di Boston, e se la tracklist successivamente si indebolisce un po' (bellissimi comunque gli esperimenti sludge di "Worms will feed, Rats will feast"), è con il duo finale che il suddetto disco riesce ad imporsi e a fare il famoso salto di qualità: "Cruel Bloom" è una straordinaria ballad a là Johnny Cash con tanto di duetto con Steve Von Till come ciliegina sulla torta e l'ultima, "Wretched World", rappresenta al meglio il sound Converge più melodico e sperimentale sfiorando lo status di capolavoro assoluto.

Se si è un grande artista, si è portati a pensare che non esistano rischi, che sia tutto facile, che basti guardarsi allo specchio per partorire qualcosa di grandioso, originale, imperituro. Non sono d'accordo. Per i grandi artisti i rischi esistono eccome. Perdersi nel manierismo, diventare schiavi delle proprie creazioni, rinchiudersi nella famosissima "prigione dorata" e non uscirne più, quasi come se tutto il tuo operato diventi un prodotto ben definito, istituzionalizzato.

Una manciata di canzoni in meno e staremo davvero parlando di un nuovo "Jane Doe", per adesso accontentiamoci di constatare che i Converge possono definirsi ancora una volta dei grandi artisti.

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