Non ho sonno. Devo scrivere assolutamente qualcosa. Sono a pezzi, ma per loro spendo volentieri delle parole notturne. Anche alle 3 del mattino. Loro sono i Converge. Seconda volta nel giro di sette giorni, ma a Londra il concerto l’ho visto, stasera volevo viverlo. Quarto appuntamento personale con loro, ogni volta però è come se fosse la prima, i brividi e l’emozione prima del massacro quando vedi sorridere nel soundcheck Jacob Bannon. Sai cosa ti aspetterà. Se poi il nostro si diverte a scherzare con il pubblico e incominciare un breve contest di urla, vabbé, si capisce che la serata uggiosa sarà senz’aria. Immersione e apnea completa, come se si fosse narcotizzati e coinvolti con tutto se stessi nella loro performance.

La serata era iniziata qualche ora prima, quando arrivo in auto con altri due compagni d’avventura e ad aspettarmi troverò quel baldanzoso ragazzo con la maglietta dei Circle Takes The Square aka Proggen94 e l’amico Vittorio. Giusto il tempo di calibrarsi sul riconoscimento magliette Loma Prieta/More Than Life/gruppo di quella brava ragazza di Kathleen, due chiacchiere e si va con il sacro rituale inviolabile della birra scrausa pre-concerto. Devo dire che qui iniziano le note liete della serata, dalla qualità polacca del live dei "No Omega/Birds In Row/Touché Amoré" ci si è elevati ad una tale Superior. Mai sentita nominare, ma con un nome così non può che ispirare fiducia. Fra un delizioso sorso e una discussione collaterale di bestemmie riguardanti il bassista dei Birds In Row iniziano a suonare gli Okkultokrati che Bannon chiama simpaticamente “The Cult of Karate”. Data la sconvolgente notizia a Proggen che i nostri siano una band crust norvegese di Oslo e non un gruppo italiano con la combo controversa “Occulto + Crauti” ci dirigiamo verso il tendone montato appositamente dal Magnolia per sopperire ad una stranissima pioggia che in questo agosto non ti aspetteresti mai. I ragazzi sul palco sono in palla, un po’ lineari, ma incominciano a riscaldare l’atmosfera con quel sound Motorhead e Discharge sotto effetto di stupefacenti che ti fa scapocciare e ti ricorda i bei tempi del “tupatupatupa” ignorante. Ci vuole anche roba del genere ogni tanto.
Qualche minuto di pausa utili per apprendere che la SIAE sia in mano a quel fottuto di un Gino Paoli e sul palco puntuali come un orologio svizzero salgono i Martyrdod. Svedesi con il crust nel sangue seguono la proposta degli Okkultokrati con un po’ più di personalità ed esperienza, oltre ad alcuni accenni melodici non affatto male che riescono a variare un po’ la proposta e mantenere il tiro dei pezzi abbastanza alto. Compaiono i primi accenni di pogo e circle-pit, ma la gente navigata sa che deve contenersi. Le energie vanno conservate. Sicura Palma d’Oro fuori competizione (dove la competizione sono i Nate, Kurt, Ben e Jacob) al loro cantante. Inglese sbiascicato, mixato probabilmente con un dialetto straight outta Goteborg, fra una cavalcata d-beat e saltelli degni di Peter nella sigla di Heidi porta alla conclusione uno show ricco di energia e passione, dove i preziosissimi occhiali da sole modello Brigitte Bardot fanno più volte capolino per rassicurarci su una sua eventuale fattanza. Mezz’oretta tutta d’un fiato e i Martyrdod incominciano a incitare il pubblico urlando “Converge, Converge, Converge”.

Io, Proggen e Vittorio ci guardiamo. Siamo in prima fila. Per loro prima volta assoluta a vedere i Converge. Li avviso : non sarà semplice. Gli altri miei compari rimangono nelle retrovie, oramai il muro di persone che s’è alzato è abbastanza consistente. Salgono per primi Ben e Nate, giochicchiano sulla canzoncina che fa molto La Vie En Rose in sottofondo. In pelle tua sai proprio che quell’abusato cliché della quiete prima della tempesta sia fottutamente vero. E sì, mi sento così trasgressivo da usare la parola fottutamente (c’è ironia, sia mai). Kurt e, in particolare, Jacob si fanno attendere. Quando Bannon arriva sul palco è ovazione completa. E tu dici. Partiranno piano. Ingraneranno a salire. Ecco, la cosa che amo dei Converge è che non hanno una cazzo di marcia a basso regime. Attaccano con "Eagles Become Vultures". Ed è già la fine. Pogo, crowd-surfing, sudore distillato nella sua forma più pura. Urla nostre, urla sue. E’ lì a due passi che ti annichilisce straziandoti con “our eagles become our vultures”. Gli altri ? Chapeau. Ballou è uno che trita i riff dalla sei corde, la disintegra ed è di una precisione omicida. Newton fa ribollire il basso e fornisce le backing vocals qualora non fosse già abbastanza incendiaria la voce di Bannon. Dietro il direttore d’orchestra è un sorridente Ben Koller. Lui si diverte, lo vedi, detta i ritmi che inevitabilmente ti fanno precipitare nell’headbanging più sfrenato, dimenandoti fra un piede che ti arriva sulla cervicale, scarpe volanti e gomiti che ti arrivano lì a sfiorarti, giusto per evitare una scena come lo Zingaro in Snatch.
Suonano per una cinquantina di minuti. Fosse per me potrebbero partire con "Halo In a Haystack" e arrivare al capolinea di "All We Love We Leave Behind" senza problemi. Il mio fisico un po’ contesta la malsana idea dei neuroni, ma me ne frego. Loro intanto continuano a trafiggerti giusto per non farti respirare manco un secondo lì in trincea. E giù una "Dark Horse" con il suo breakdown pesante come un macigno, la furia disperata di "Aimless Arrow", una rincorsa ai propri demoni interiori che incontra un treno a piena velocità in "Trespasses". Si divertono ad assistere al delirio nel pit, fra spintoni, mazzuolate e adrenalina. Ecco, poi Bannon lo vedi lì. Fra una posa da perfetto hardcore kid e lanci del mic ammiri come ci metta tutto quello che ha in corpo. L'attitudine. La passione. L’energia. La sofferenza. Il volto sciupato su un’intensa "All We Love We Leave Behind" che ti trascina a fondo con lei, ma soprattutto l'interpretazione nella perla di serata. I 9 minuti di "Grim Heart/Black Rose." Recitazione e catarsi drammatica allo stato puro, fino alla escalation guidata dai fidi compagni con quell’inquieto tentennare fra basso e chitarra che ti prospetta un pronto ritorno nella splendida agonia sonora che si vive lì davanti, dopo che finalmente si era riusciti giusto a riprendere quei due secondi di fiato necessari per la sopravvivenza.

L’aria è elettrica. Elettricissima. Pescano un po’ ovunque da "Jane Doe" in avanti, peccato non ci sia spazio per qualche viaggio nel passato dalle parti di "Petitioning The Empty Sky". Però quando ti arrivano quelle saette annichilenti alla Concubine, alla Cutter o The Broken Vow capisci che puoi solo lasciarti cadere nel rallentamento claustrofobico di "Heaven In Her Arms". Bannon ringrazia, parla, sa che tutti pendono dalle sue grida. Nate "pianta" con nonchalance il bestemmione della serata (Germano Mosconi Award per lui) e Jacob ironicamente finge di capire “crap al posto di great” simulando voci luciferine. Loro sono in forma. Compatti nel far terra bruciata. Ci si rende conto per l’ennesima volta fra i sorrisi (unica forma di comunicazione plausibile) di me, Proggen e Vittorio che si sta assistendo alla performance di artisti che sono inarrivabili per quasi la totalità dei gruppi nella scena. Anzi, togliamo il quasi.

Il sipario si sa dove chiuderà. Un’ultima luce. Last Light. E che ve lo dico a fare. Cantata a squarciagola da tutti i presenti, con il cuore in mano. Uniti nella splendida creatura Converge. Quelle parole ripetute come una formula magica. Keep breathing, Keep living, Keep Searching, Keep Pushing On, Keep Bleeding, Keep Healing, Keep Fading, Keep Shining On. Poi loro hanno un ultimo regalo, prolungare e accelerare il finale del pezzo, come ogni sacrosanta chiusura di concerto si rispetti. Così con le ultime forze cerchi di assorbire il più possibile quella violenza sonora, così viscerale, così..così. Non trovo manco le parole. E’ emozione allo stato puro, penso.
Si alzano le luci. Bannon rimane a salutarci, allungo il braccio, mi stringe la mano, mi dice qualcosa che nel frastuono non capisco. Sembrava mi stesse catechizzando, non mi sarei sorpreso fosse comparsa un’ostia dai jeans del buon Giacobbe. Io ringrazio lui. Al mio fianco ho un Proggen che come me è stravolto. Stordito. Dolorante. Felice. Un’esperienza mistica. Vittorio è stato trascinato nel pit sul finale, complimenti a lui per esser sopravvissuto. Scambiamo due parole, non abbastanza, purtroppo i rispettivi viaggi di ritorno ci attendono. Da approfondire sicuramente la Teoria delle Sculate Volontarie Per Allontanare. Anche se le notizie live, nel mentre che sto scrivendo questo report, paiono interessanti. La periferia brianzola può regalar sorprese la notte.Per loro. Per i Converge. Si può solo chiudere con le loro parole : this is for the heart still beating. È il nostro batte più forte che mai. Alla prossima, ragazzi.

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