Non trovate che sia eccessivamente divertente notare come diversi gruppi riescano ad essere così seminali ed al contempo stesso, totalmente infossati dal World Music Business? Io, no. Non capisco come Reznor e quella "Giovanna D'Arco" di Marylin Manson credano o siano convinti di aver creato una qualche sorta di genere, datato oramai da un pezzo ovviamente, ma penso che se non abbiano difficoltà alcuna a comperare ville nel cuore del marcio di Los Angeles, tutto questo lo devono a band come i Cop Shoot Cop.

La band citata in causa è quanto di più contro-tendente New York si potesse permettere nell'epoca della "Daydream Nation-Generation": un sound fatto di duro lavoro, sudore, visioni e cacofonie rese aria inquinata quanto inquinante, tanto da far immediatamente rendere chiaro quello che centinaia di gruppi e di ragazzini alle prime armi non erano ancora riusciti a capire, nonostante gli espliciti segnali messi in piazza da band come Jesus Lizard o Rapeman, ovvero la lenta ed inarrestabile morte della musica rock intesa come strumento per combattere.
A tratti sommesso, come un digestivo scaduto, l'album infligge all'ascolto il tema unico della ripetizione, martoriante e frustrante da sembrare irreversibile anche al più ottimista dei benpensanti in giornata di grazia. Sì, perchè questa è gente che ha, per così dire, "studiato", per poter essere quello che esprime, gente che viene da mondi paralleli pussygaloriani dei quali raffina la confusione, per impartirla poi metricamente come una parabola apocalittica di gelida costituzione. Ma quello che fà letteralmente ed ulteriormente rabbrividire, se mi consentite, lo riscontro nel fatto che questo è il primo album che i quattro gendarmi in questione hanno avuto il coraggio di registrare (Circuit 1990).
Il perfezionismo, con cui determinate sonorità riescono a calzare l'una sull'altra, lascia a dir poco basiti, come se onorati di assistere ad un parto macabro e meticcio di ferraglia proveniente da "Confusion Is Sex", Ministry e forse anche da un certo blues depravato che solamente Birthday Party e Scratch Acid sapevano maltrattare a modo. Messaggi cifrati (She's Like a Shot, brano secondo), linee telefoniche in attesa di esplodere in infernali messaggi di avviso ("Disconnected 666", brano quarto) e molto altro, sapranno incantarvi con il minimalismo sudante che solo questo album riesce a trasmettere lungo la poco longeva carriera del gruppo. E per finire, quel tocco di industrial che sembra sacralizzare gli spenti fiati della prima band di Nick Cave, e che biasima in modo accondiscendente la barbarie degli altrettanto primi Einstürzende Neubauten.

Tribale, brutale e visionario sono i tre aggettivi che balleranno ridenti sulle vostre tempie, subito dopo aver digerito i 13 pezzi di acciaio ossidato che ogni brano custodisce avidamente.

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