1987, New York ha finito di essere la culla del movimento no wave, quindi avvalendosi del termine "post-no wave" ci si può permettere di indicare tutta una serie di band nate di conseguenza nell'ambiente underground della grande città, tra cui i CSC. Violenza, pericolo, nichilismo e "sporcizia" (citando inerentemente gli Swans) fungono da background per Tod Ashley, Jim Coleman e compagni nell'esprimere in maniera decisamente brutale i loro (se così possono essere chiamati) ideali. In maniera realista, nella sua concezione più figurativa ed illustrativa, i CSC raccontano di un mondo crudele, senza perdere tempo nel filosofeggiare, eliminando le allegorie descrittive e privando spazio alle buone speranze ed ai compiacimenti. Il mondo, la realtà che descrivono è cinica, nichilista, esattamente come la loro musica, esattamente come loro.

"This ain't no place for ideals, this is no time for change".

1990, cantano così aprendo il loro primo LP, "Consumer Revolt". Un messaggio diretto, un manifesto direi, nessuna parola è superflua. Per loro è un dato di fatto, e la visione del mondo è trasdotta senza compromessi, così come la vedono. New York diventa quindi un microcosmo con il quale descrivere (negativamente) una realtà molto più ampia, e tramite un elevato espressionismo raccontano di pessimistiche consapevolezze. Con loro i messaggi provocatori non mancano, a partire dal nome della band, con cui ci si può riferire alla sua traduzione letterale oppure ad una espressione gergale per descrivere il circolo vizioso della tossicodipendenza (ispirandosi alla decadenza che li circondava tutti i giorni nei pressi della loro sala prove). Una realtà fatta di paure, fortemente distopica , ma innegabilmente reale è quella che descrivono. La loro musica imprime nella mente perfettamente il messaggio dichiarato: due bassi dal suono crudo, oggetti metallici percossi, dissonanti samples ed un cantato spietato rappresentano il fulcro stilistico dei loro affreschi. Condensando il concetto a chi mai ha sentito niente dei CSC, nel loro lascito artistico si trova principalmente industrial ampiamente sporcato di noise, sperimentalismo e molto poco rock (stile con cui hanno sempre rifiutato una piena identificazione). Caratterizzati da una carriera che si è musicalmente evoluta sempre e con stesso andamento, dopo aver partorito una cattedrale sonora di vera e propria "non musica", approdano a metà anni '90 con uno stile maggiormente agibile ai più.

1994, nei due anni precedenti allo scioglimento, i CSC chiudono la carriera discografica con il loro disco musicalmente più accessibile. Con "Release" la musica si fa più orecchiabile, ma questo rimane un aggettivo sempre relativo, trattandosi comunque di musica industriale inesorabilmente segnata dalle cacofonie che più li rappresentava in passato. Rispetto ai precedenti lavori, si è perso tutto ciò che era sperimentale ed avanguardista. Gli echi di Foetus e Swans non si sentono più. Non solo, dal punto di vista tecnico è non trascurabile l'utilizzo della chitarra, per la prima volta nella loro carriera, e ciò esemplifica perfettamente l'amalgamarsi e l'orientarsi verso un'alternatività normalizzata (può sembrare un ossimoro, chi vuole intendere intenda). Nel precedente album qualcuno avrebbe potuto infilarci una "Monkey Trick" degli Jesus Lizard che nessuno se ne sarebbe potuto accorgere, cosa impossibile in questo caso. Con questo disco hanno quindi normalizzato la loro musica, ma da un punto di vista più matematico del termine, come se nel maneggiare un'equazione si cerchi di riaverla in una forma più semplice e adattabile. Ci sono i ritmi martellanti, gli agguati industrial, ma allo stesso tempo flirtano con l'atteggamento più rock della loro carriera, e le loro accuse, proteste, urla non sono mai state tanto eufoniche. Tutto questo in maniera molto controllata rispetto ai loro vecchi canoni di espressività cannibale. Del resto, come affermato in un'intervista del '93, il loro intento era quello di concentrarsi maggiormente sulla melodia rispetto agli intrecci di puro rumore-ritmo (che spesso lasciavano a dir poco annichiliti). E' quindi una cosa voluta, pensata, abbastanza ispirata e mai banale. Chiaramente il risultato non regge il confronto con il passato, ma rimane qualcosa di comunque energico ed accattivante, seppur troppo "buono" e poco violento per essere un prodotto marcato Cop Shoot Cop. Un'opera comunque particolare e personale di una band di musica principalmente industriale a cui spetta un accostamento concettuale decisamente sbilanciato su gente come Foetus, Swans, Jesus Lizard, Cows, Scratch Acid, Sonic Youth ("everybody is scared, society is a hole") piuttosto che Ministry, Skinny Puppy, Nine inch Nails ecc..
Con questa loro ultima fatica si pone infine un ponte di raccordo stilistico con il futuro progetto del cantante/bassista Tod A., i Firewater.

Si tratta dunque di un punto di arrivo, facilmente prevedibile durante un ascolto cronologico della loro discografia e perfettamente in linea con l'evoluzione stilistica della band. Non è un album stupefacente, ma per un gruppo che su quattro dischi ha rilasciato (nel parere di chi scrive) tre capolavori unici, chiudere la carriera in questo modo è molto più che dignitoso. Al giorno d'oggi, rimane la migliore band di musica industriale che io abbia mai sentito, diventata ormai un culto.

"credo che noi siamo stati ingaggiati da una major perchè tutte le etichette stanno cercando i nuovi nirvana; noi non lo siamo, ma loro non lo sanno ancora" [Tod A.]

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