Manca soltanto "White noise" per completare su DeBaser la trilogia dei grandi album dei Cop Shoot Cop, tempestosi innovatori sonici nella Grande Mela a cavallo degli anni 90.

Piazzandosi cronologicamente tra l'ostica apocalisse urbana inscenata da "Consumer Revolt" e il più levigato debutto major di "Ask Questions Later", è forse "White Noise" l'opera più significativa dell'ensemble capitanato da Tod Ashley: il miglior incrocio tra idee compositive, sperimentazione e violenza di impatto.

Nell'ambito della sfaccettata scena noise di NYC, i Cop Shoot Cop rappresentano assieme agli Unsane una sorta di "terza via". Non ostentatamente intellettuali come i Sonic Youth o i Pussy Galore, non semplicemente brutali e sfrontati come gli Helmet o i Biohazard: gli scadenti scenari metropolitani e l'attacco al sistema vengono presentati dai nostri in maniera più ambigua e letale, e probabilmente più efficace.
Nell'epoca di massimo splendore delle chitarre (tra grunge, industrial e crossover), nella formula sonora dei Cop Shoot Cop al posto di incandescenti colate laviche eruttate dalla sei corde, trovano spazio soluzioni inusitate: un doppio basso suonato contemporaneamente e un campionatore usato come vero e proprio strumento, in grado di rilasciare velenose scorie elettroniche.

I risultati sono sorprendentemente sovversivi: le dilanianti e afasiche atmosfere che avvolgono anthems come "Discount rebellion" o "Coldest day of the year", la sarcastica "Feel good" o lo spiritato vaudeville elettronico di "Hung again" meritano certamente un aggettivo come "claustrofobico", che sarà troppo spesso abusato negli anni successivi. Impressionante è anche "Chamaleon": l'interazione tra bassi ossessivamente lividi, percussioni furiosamente potenti, e un assordante campionatore crea momenti di assoluto furore, mentre Jack Natz ripete ossessivamente "Change what you cannot accept / do not accept what you cannot change". Una perfetta visualizzazione cinematica degli scenari cyper-punk che scrittori come William Gibson propinano in quegli anni, ideale colonna sonora per un seguito degli scenari post-apocalittici di Blade Runner.

Si inseriscono in questo solco alcune schegge quali "Where's the money" o "Corporate protopop", deliranti e sferzanti frammenti pubblicitari, tra campionamenti e loop sfasati, di una civiltà deumanizzata. Il messaggio della struggente "If tomorrow ever comes" e dell'amara "Traitor/Martyr" è chiaro: la fine è già arrivata, l'eroismo e la lotta sono l'ultima frontiera della dignità.

Questo connubio tra musica carica di tensione emotiva e la weltanschauung copshootcoppiana trova probabilmente il suo zenith nella sulfurea sinfonia rumorista (il seminale Foetus è dietro l'angolo) appropriatamente intitolata "Empires collapse": l'incubo terminale di una società allo stremo.

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