L'industrial di matrice esoterica non è materia semplice da maneggiare. Il confine fra onestà e cialtroneria è labile. Il passo dall'ignoto al ridicolo è breve.

I Coph Nia di Aldenon Satorial, a mio parere, si collocano a metà strada, esaltando a tratti, non convincendo tuttavia nel complesso. Giudizio strettamente personale, dato che alla sua uscita (era il 2003), questo "Shape Shifter" fu salutato da pubblico e critica come un vero e proprio capolavoro.

Partiamo dal principio: Aldenon Satorial è in realtà un finto giovane, dato che risulta musicalmente attivo già dagli anni ottanta. La sua creatura nasce intorno alla metà dei novanta, ma per la prima pubblicazione ufficiale ("That Which Remains") dovremo aspettare l'alba del terzo millennio.

Oggi Coph Nia è uno dei cavalli di punta della scuderia della Cold Meat Industry e "Shape Shifter" rimane il momento di maggiore ispirazione.

Ma che suoneranno mai questi sensazionali Coph Nia? E che volete che suonino, se non il tipico impasto post-industriale made in CMI: scenari dark-ambient, grugniti da santoni invasati e sporadiche percussioni chiamate a tessere oscuri rituali.

A fare tanto, in "Shape Shifter", è il lavoro di produzione del guru dell'elettronica oscura Peter Andersson: suoni praticamente perfetti e levigati, cura maniacale del dettaglio; molte, in definitiva, le analogie con i Raison D'Etre dello stesso Andersson, a partire dall'uso massiccio di cori gregoriani e campanacci campionati.

Aldenon Satorial, in ogni caso, mostra una preparazione tecnica al di sopra della media. A mancare è probabilmente il sentimento: il senso di arcano, di sacro, di soprannaturale che dovrebbe scaturire dalle note di ogni lavoro a sfondo esoterico che si rispetti, qui diviene caricatura, posa, piattume horror.

In particolare le voci, troppo enfatiche e teatrali per risultare credibili, tolgono mordente ad un impianto elettronico tutto sommato professionalmente architettato. Meglio allora quando ci si abbandona ad un cantato suadente alla Dave Gahan, andando a ripescare la migliore tradizione degli ottanta. Ed è proprio questo, a mio parere, l'asso nella manica sfoderato dall'artista svedese: l'intento di coniugare le asperità tipiche del dark-ambient con un'attitudine vagamente dark-wave, cosa che rende l'ascolto comunque piacevole e variegato.

Una buona produzione ed un buon mix di elementi vanno così a fare le veci di una scrittura non sempre brillante. E non è un caso che gli episodi migliori risultino paradossalmente essere le due cover: "Prime Mover" dei Leather Nun e l'inossidabile "Stygmata Martyr" dei Bauhaus. Davvero fenomenale quest'ultima: ipnotico giro di basso, cori apocalittici in crescendo, una voce oscura ed avvolgente che recita versi blasfemi in un clima da fine del mondo. In una parola: sublime.

Non che tutto il resto sia da buttare: i cori salmodianti in "Lord of the Air", per esempio, riportano alla mente alle atrocità dei primissimi Current 93, mentre l'orgia di voci che esplode al settimo minuto di "The Mirror" è un vero colpo al cuore. Piace, infine, la conclusiva "Call of the Jackall", un'imponente cavalcata industriale incalzata dal pulsare inquieto di un'elettronica deviata e scossa da esplosioni sinfoniche davvero degne di nota.

Che dire in definitiva: se si hanno in mente lavori come "Nature Unveiled" e "Blood Dogs Rising", questo "Shape Shifter" fa semplicemente ridere da quanto ci suona innocuo, puerile e perfino antipatico nella sua spocchia.

Se invece accoglieremo il tutto con un maggiore distacco, tenendoci lontani da paragoni impietosi e considerando il panorama odierno della scena dark-industriale, ne rimarremo certamente meno scottati: "Shape Shifter" è tutto sommato un lavoro più che dignitoso, un acquisto obbligato per gli amanti delle produzioni targate Cold Meat Industry, un ascolto piacevole per tutti gli estimatori di quelle sonorità industriali che amano indulgere nelle confortevoli spire dell'universo gotico.    

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