Le parole scelte da Cormac McCarthy fanno male, malissimo. Si potrebbe pensarle quasi "gratuite". Sono termini quotidiani che messi nella dannata posizione in cui li pone l'autore statunitense creano disagio, quasi sconforto. McCarthy sembra quasi non avere voglia di utilizzare soggetti non sofferenti, sembra trovarsi a suo agio molto meglio nel degradato passato che nella contemporaneità.
"Il buio fuori" è il secondo romanzo scritto da McCarthy, che venne pubblicato nel 1968 a tre anni di distanza dal suo debutto letterario, intitolato "Il guardiano del frutteto". Questo libro (abbastanza scarno, siamo intorno alle 200 pagine), pone al centro dell'attenzione due personaggi in particolare. Culla e Rinthy sono fratello e sorella ma questo non ha impedito a Culla di mettere incinta sua sorella. Nella desolazione della loro vita, del paesaggio e nella più completa mancanza economica, Culla decide senza neanche troppe remore di abbandonare nel bosco il neonato, che verrà trovato da un calderaio e portato con se. Per i due personaggi è l'inizio della ricerca: Rinthy rivuole suo figlio, Culla vuole ritrovare sua sorella. Il viaggio dei due sarà effettuato all'interno di una natura "plastica", onnipresente, quasi un personaggio a se stante che accompagna tutti coloro che si muovono in questa vicenda. Lo scenario è quello di una indecifrabile parte degli Stati Uniti, anche se la più volte citata Contea di Johnson ci fa dedurre che il romanzo sia ambientato in Kansas. Il paesaggio evocato da McCarthy è una cappa oscura di desolazione e disperazione in cui i due protagonisti, già gravati da una difficile situazione personale, sembrano non trovare scampo. Una natura perfetta nella sua costruzione, nel dimostrarsi "matrigna", sfondo sanguinario di una storia dalle tinte marce.
Improvvisi sprazzi di violenza rendono "Il buio fuori" un libro che non consiglierei a tutti. Infatti, nonostante una rappresentazione che trasudi oppressione e difficoltà ad ogni pagina, all'interno del romanzo troviamo delle vere e proprie pugnalate di brutalità che annichiliscono per la loro nuda crudezza, quasi inaspettate nell'incedere sterminato tra le desolate campagne evocate dall'autore. Sono fulgidi lampi di potenza narrativa che donano all'intero lavoro un'aura di surrealità che passa dal tono horror a quello più straziante e doloroso dell'amore verso il proprio figlio. In questo senso appaiono nettamente opposte nella loro caratterizzazione psicologica le due figure principali. Rinthy è ossessionata e caparbia nel voler a tutti i costi ritrovare il suo bambino, mossa da un amore incondizionato che aumenta con le difficoltà fisiche. Culla al contrario sembra quasi indifferente a tutto ciò e il suo personaggio assume le sembianze di uno spaventapasseri mosso soltanto dalla voglia di poter racimolare qualche soldo per poi andare alla ricerca di sua sorella.
All'interno di questo nero marasma di termini oscuri e di situazioni che si risolvono quasi sempre in manifestazione di violenza c'è un "personaggio" che segue da vicino ogni mossa di Culla, trascinandosi dietro una lunga serie di omicidi e situazioni di netta brutalità. Un misterioso trio. L'inevitabile epilogo assume tratti di indicibile violenza e si rimane lì un po' storditi di fronte ad una descrizione, ad una successione inaspettata di eventi che ti porta a riflettere sulla meschinità e l'indifferenza umana. Più si avanza nel romanzo e più si leggono pagine in cui la speranza cede totalmente il posto alla durezza, in cui si moltiplicano gli elementi legati alla morte, in cui tutto appare fissato in un quadro malefico all'interno del quale l'uomo deve pagare con sofferenza le proprie colpe e le proprie scelte per riuscire a cavarsela in un mondo che non lo guarda in maniera benevola.
Alla fine di un viaggio del genere, un trip di ragnatele e carcasse in cui emerge il bianco delle ossa e il nero del sangue, si rimane come ciechi, diretti verso una palude che ha le sembianze di una "vulva" fangosa e risucchiante...
"Dicono che all’inferno le anime non abbiano nome. Eppure devono averle chiamate in qualche modo, per spedirle laggiù".
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