Immagina un futuro, più o meno prossimo (un quarto di secolo, un paio d'anni o solo qualche mese).

Immagina che all'improvviso manchi la luce, che non ritorni più, e che porti con se tutto il mondo che sino ad ora hai dato per scontato. Delle città restano solo gli scheletri degli edifici. Ne è scomparsa la vegetazione ed una coltre di cenere che appesantisce l'aria ricopre tutto, cancellando i colori ed opprimendo i polmoni.

Immagina che tutto quanto è stato per te prezioso nel mondo che ora non esiste più, ti è inservibile. Tutta la tua attuale ricchezza è stipata in un pesante carrello del supermercato, coperto da un telo di plastica, che sei costretto a trascinarti dietro, e che è tutto quello che resta della società consumistica che fu.

Immagina che il paesaggio che ti circonda è di reale desolazione: negozi, abitazioni, ogni sorta di edificio è stato saccheggiato e privato di tutto ciò che sembrasse commestibile o combustibile. Una pistola, tra le cose che ti trascini dietro, ti serve a difenderti dagli altri sopravvissuti, che si aggirano in piccoli gruppi, come zombies, in cerca di cibo e riparo, in una insensata lotta per l'annientamento reciproco. Un'umanità spaventosamente regredita la cui disperazione spinge a gesti efferati, ad approfittare della debolezza altrui, a bollire i resti di coloro che non ce la fanno.

A tenerti in vita, a salvarti dall'efferatezza cui spinge la disperazione dilagante è il bambino che dorme accanto a te. Proteggerlo significa che devi resistere e combattere, ma anche infondergli la speranza e la fiducia necessaria a non farlo arrendere. La sua difesa significa proteggere quel passato sereno e colorato cui lui ti lega ma che non ha mai conosciuto.

"La strada" è un lungo viaggio senza origine e senza meta verso un sud non meglio specificato. Un cammino di sopravvivenza dove la notte ha perso le stelle e il giorno conosce solo luce grigia: un viaggio per arrivare all'oceano che, però, è grigio anch'esso... Non c'è spazio per il lieto fine, non esiste l'intervento dell'eroe che rimette tutto a posto. C'è solo l'amore intenso ma silenzioso di un padre e un figlio senza nomi, fatto di gesti, di rituali concreti di sopravvvenza, di occhi che scrutano il paesaggio desolato in cerca del pericolo, di mani che costruiscono giacigli ed aprono cibo in scatola, ma anche di pianto di sconforto e di rabbia, lacrime disperate che si stupiscono della disarmante ingenuità e dell'incredibile generosità di cui un bambino, che ha conosciuto un mondo assurdamente feroce, ancora è capace. 

Dopo aver immaginato tutto questo cosa ci resta? Probabilmente molto sconforto, una profonda sfiducia nei confronti del prossimo, qualche fondato timore di non essere in grado, se non si è stati scout, di sopravvivere a lungo ad un mondo senza gas ed elettricità. Ma forse, proprio sul finale, ci resta anche il coraggio della speranza.

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