Non finirò mai di ringraziare mio zio materno. Non potrò mai dimenticare la sua affettuosa figura nelle rigide sere invernali mentre mia mamma faceva le notti. Ricordo distintamente, tra una carezza ed un pizzicotto, le sue ninne nanne che mi facevano sentire protetto, tra un gorgheggio alla Ian Gillian ed un classico dei Black Sabbath (con Solitude crollavo come ipnotizzato). Devo esclusivamente a lui, ai suoi cromosomi raffinati, la mia travolgente passione per il Rock ed il Metal, nonchè la mia fervente curiosità animalesca che mi portava a rovistare furtivo, la domenica, tra i suoi imponenti cestoni ricolmi di vinili, alla ricerca della prima copertina ''diabolica'' che mi balzava agli occhi, pronta per essere infilata sotto maglia e portata a casa, stando ben accorto a non entrare nei puritani radar di mia mamma.
Ci fu una domenica nella quale, avendo meno tempo del solito, la mia scelta cadde su un disco che, in passato, avevo consapevolmente eluso, attirato com'ero da altre tonalità, da altre raffigurazioni. Uno sfondo nero, con al centro un'immagine, deformata dall'obiettivo, di un cimitero senza colori ma con varie sfumature di giallo. Sotto tre lettere puntate, una R, una I ed una P. Sopra una parola mai sentita prima che da quel giorno riecheggierà nella mia testa per sempre: Coroner.
Il giorno seguente, quando puntualmente alle 17 meno un quarto la mamma prese borsa e sigarette e andò a lavorare, non ero bramoso come al solito di mettere sul piatto quel 33 giri così kitsch, così tenebroso. Ma la sua stranezza formale mi vinse. Mi sistemai sul lettone proprio mentre le flebili note del pianoforte accompagnate da flauto e tastiere della ''Intro'' risuonavano nell'aria ancora appestata dall'olezzo di nicotina. Un rintocco di campane e poi...uno dei riff più geniali della storia del metal, un sound sconvolgente e cervellotico allo stesso tempo, un ritornello raccapricciante, l'oltretomba compresso in 5 minuti: ''Reborn Through Hate''.
''R.I.P.'' si manifesta imperioso, stra-colmo di fascino primitivo e di molteplici richiami tanto alla carica dei Maiden pre-Dickinson quanto all'ossessività tipica dei conterranei e amici Celtic Frost (Thomas G. Warrior aveva partecipato alla stesura del loro primo demo ''Death Cult''). Le linee vocali di Ron Royce, pur ricalcando il timbro granitico di Warrior, appaiono isteriche e malate quanto basta per riesumare l'attitudine selvaggia del miglior DiAnno; Marquis Marky dietro le pelli assesta fendenti letali, dimostrando che anche nel Thrash la batteria può assumere un ruolo di primo piano. E poi c'è Tommy T. Baron. Che dire... adoro in modo viscerale il suo modo di intendere l'arte chitarristica; le sue spettacolari divagazioni neoclassiche (figlie della lezione impartita da Malmsteen in quegli anni) diventeranno un marchio di fabbrica del gruppo, tanto da convincere anche i critici più bigotti che non c'era nessun bisogno di una seconda chitarra in formazione.
Tutte le canzoni qua dentro sono nere come la pece e profumate come il fetore di un cimitero profanato. Ciascun riff viene generato con un virtuosismo ed un'abilità sorprendenti. Ogni accordo, ogni singola nota viene suonata con una precisione irriverente, ogni scala è finemente sintonizzata per massimizzare la profondità e la velocità.
I Coroner sono stati capaci di raggiungere già con il primo album la perfezione. Brani come ''Suicide Command'', la sepolcrale title-track, ''Coma'' (che tratta di un tema spinoso come l'eutanasia) o la più ritmata ''When Angels Die'', la trascinante ''Totentanz'', la strumentale ''Nosferatu'' (ascoltatela bene e ditemi se non vi ricorda una certa Transylvania...) rappresentano il primo, intaccabile e tetro tassello di supremazia della carriera degli elvetici. Gli si può preferire, a seconda dei gusti, la matrice Dark di ''Punishment For Decadence'', la vena Techno-Thrash decadente di ''Mental Vortex'' oppure i chiaroscuri futuristici e psichedelici di ''Grin'' ma, com'è risaputo, pur cambiando l'ordine degli addendi, il risultato non può mutare: l'eccellenza musicale.
Assurdo come tanta creatività ed efficacia sonora sia caduta nel disinteresse più ostinato da parte del grande pubblico. Mi consola il fatto che i veri thrashers li hanno tenuti, li tengono e li terranno per sempre nel cuore.
Da riscoprire obbligatoriamente.
Carico i commenti... con calma