Probabilmente in pochi conosceranno questa oscura formazione di Corpus Christi, Texas, titolare nel 1971 di un unico e dimenticato album inizialmente venduto solo per corrispondenza; album che nessuno, al di fuori dei più fedeli adepti del gruppo, avrebbe mai avuto il piacere di ascoltare, se anni dopo la Akarma non l'avesse ristampato e distribuito anche sul mercato europeo, cavalcando il crescente interesse generatosi intorno a simili "chicche" del periodo. In questo caso, la rarità del prodotto si combina felicemente con la sua pregevolezza artistica: "Creation A Child" suona infatti sorprendentemente bene fin dal primo ascolto, e ha il pregio di contenere pagine che oserei definire "epiche", senz'altro meritevoli di maggior fortuna e degne, passati ormai quarant'anni, di una netta (oltreché indispensabile) rivalutazione. I lettori non si lascino comunque suggestionare dall'innegabile alone di mistero che circonda il gruppo, di cui si sa poco o nulla: non parliamo certo di un capolavoro, ma di un misconosciuto ed interessante capitolo nell'evoluzione della scena alternativa statunitense di quegli anni.

Dietro la suggestiva copertina, peraltro molto "californiana" nei caratteri in cui è scritto il titolo, si nasconde un ottimo quartetto di incerto orientamento stilistico: gli specialisti parlano, con poche esitazioni, di Psych Rock, sul modello di altre (e più note) band texane tradizionalmente associate al movimento psichedelico di fine '60 (come i 13th Floor Elevators o i Moving Sidewalks di Billy Gibbons); in realtà, l'etichetta proposta sta forse un po' troppo stretta al gruppo, i cui riferimenti vanno piuttosto ricercati fra gli esponenti maggiori della coeva scena di San Francisco: vengono in mente i Mad River (specie nella marcata predilezione per l'uso delle tonalità minori), ma anche lo stile chitarristico del primo Barry Melton con i Fish; e tali influenze sono perfettamente riconoscibili, dato che siamo in presenza di uno dei più significativi esempi di Acid Rock fuori dalla California. Ma non si pensi al suono degli Airplane o dei Dead: in realtà i nostri mantengono numerosi punti di contatto col chitarrismo sanguigno e torrenziale dei bluesmen texani elettrici (da Albert Collins a Johnny Winter), nonché un'attitudine molto più ruspante e Rock'n'Roll. Inoltre, le linee melodiche eseguite all'unisono dalle due chitarre soliste di William Grate e Richard De Leon ricordano certe atmosfere del primo album dei Wishbone Ash, uscito un anno prima (si ascolti lo stralunato pseudo-Jazz di "Marriage" e si coglieranno le molte somiglianze con il gruppo inglese).

I più navigati avranno già constatato come le tante influenze ricordate siano comprensive di un ventaglio stilistico molto ampio e variegato, a dir poco "caleidoscopico"; e in effetti, la coerenza e l'omogeneità interna non rappresentano di certo il punto di forza dell'album in questione: fattore che pesa (e anche molto) sulle quattro stelle che assegno all'opera, dato che la perizia tecnica dei musicisti e le soluzioni fantasiose adottate avrebbero meritato una valutazione anche più alta. Robusti e incisivi Rock-Blues si alternano (o meglio, si contrappongono) a brani dilatati, lugubri, notturni, dominati dalle evoluzioni chitarristiche dei due solisti e dalla voce (intensa, nonché particolarmente adatta al genere) di De Leon: sembra quindi che nel gruppo convivano due anime diverse e contrastanti.

Tre i capolavori indiscussi: "Joy", "Creation A Child" e "Mythical Dream", tappe di un ideale viaggio concettuale dichiaratamente ispirato al tema del rapporto fra un uomo e una donna (dal matrimonio al concepimento e alla nascita del primo figlio, fino alla separazione): sono maestosi blues minori dall'incedere lento, sensuale, ammaliante; atmosfere austere, vagamente "dark", e una sensazione generale di mistero e sfuggente malinconia accompagnano l'ascolto di questi tre affascinanti capitoli, unici per qualità sonora e tensione interpretativa (notevole l'amalgama creato fra chitarre e Hammond). 

Il resto del repertorio si colloca un gradino sotto in quanto a originalità della proposta, ma si lascia comunque apprezzare per solidità d'insieme e rigorosa aderenza ai canoni del Blues texano (con gradevoli variazioni armoniche a impreziosire e movimentare lo standard delle dodici battute); in risalto la velocità e l'attitudine "Jam-oriented" dei solisti, ma anche la sezione ritmica sa dimostrarsi all'altezza della situazione, sostenendo l'andatura dei brani con costanza e metronomica precisione.

Un disco con pochi cali di tono, dunque, che paga soprattutto la mancanza di coerenza generale nella scelta del repertorio. Ma i suoni che si apprezzano fra i solchi ne giustificano ampiamente l'ascolto. Sincero è il mio invito a riscoprire un'opera per lungo (troppo) tempo relegata nell'oblio.

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