Voglia di pesantezza, voglia di contribuire ad "insozzare" a dovere l'homepage.

Poche band sono in grado di riveleggiare con i Corrosion degli anni ottanta; il periodo più fottutamente incisivo, furioso della band originaria della Nord Carolina.

Mi metto alla ricerca su internet di qualche notizia dimenticata a riguardo di Technocracy...e leggo una novità che mi ha paralizzato.

"Reed, It’s with heavy hearts that we say goodbye to a friend, a brother and pioneer. Love and condolences to the family, friends and fans who will miss you and thanks for the music".

Se ne andato a Gennaio a 53 anni Reed Mullin, storico batterista della band.

Nulla ne sapevo; ed è già da subito durissima per me andare avanti, proseguire nella recensione.

Senza retorica alcuna posso affermare che abbiamo perso uno dei massimi picchiatori di tamburi del genere Hardcore-Punk-Sludge-Metal.

Un viso d'angelo il suo in gioventù; capace, con il proprio drumming potente ed ossessivo, di dare ulteriore energia ad un muro sonoro spiazzante e destabilizzante. I Corrosion sono stati tra i primi a rendersi conto che era possibile la fusione tra la fisicità drammatica dell'Hardcore con l'intensità oltraggiosa del Metallo. Un approccio che ha fatto scuola e che è stato in seguito sviluppato in molte altre direzioni da centinaia di gruppi.

Dei capiscuola assoluti, come Sucidal Tendencies ed Agnostic Front.

Provo a questo punto a buttar giù due dure righe sull'EP pubblicato nel 1987.

Un ferocissimo e breve, 5 canzoni per soli 13 minuti, atto di accusa contro la società americana del periodo, contro una corruzione dilagante di un sistema politico destinato al fallimento...almeno questo si augurano gli allora giovani ragazzi incazzati e fieri dei propri caustici proclami.

La title track è posta ad aprire il lavoro. Un intro trattenuto di pochi secondi; poi il pandemonio. L'attacco uditivo ha inizio, grazie al cambio di marcia che Reed mette in atto alla batteria, lanciando i compagni in una cavalcata Hardcore che lavora ai fianchi e demolisce. Assoli lancinanti della sei corde, un basso atomico che pulsa e compatta il suono. Una voce strappata, tirata, tipica del genere...e siamo già alla fine.

Hungry Child si conclude dopo un minuto e qualche secondo; altra rasoiata da bolgia infernale, altri furiosi giri di tutti gli strumenti. Ancora urli, ancora velocità debordante. La dolorosa Crawling si assesta su tempistiche meno agitate, molto più controllate; è il suono spezzato di Reed a fungere da preciso faro, da guida per i colleghi; smodata e monolitica pesantezza.

La balorda ed irriverente presa per il culo di Ahh Blugh (Milking the Sick Farce) conclude questa dimostrazione di magnetica e tribale forza.

Con l'avvento degli anni novanta i Corrosion of Conformity perdono la loro impronta sociale e la crudezza Hardcore; influenze Southern-Sabbathiane-Stoner entrano a dosi esagerate nel sound; si rendono protagonisti di una serie di album da massimo dei voti per il sottoscritto.

Doveroso dedicare lo scritto all'amico in Musica Reed...ALBATROSS...

Diabolos Rising 666.

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