In molti hanno provato a riproporre brani e melodie dell'era medioevale, attraverso particolari trasposizioni in diversi stili musicali moderni (basti ricordare vari filoni del metal, del folk e della musica comunemente definita dark). I risultati però sono stati alterni, e non sempre ottimi. Sul podio delle fonti dalle quali attingere a piene mani è quasi un obbligo, si erge il ricco manoscritto dei Carmina Burana, e tra le realtà appartenenti alla scena del medieval folk maggiormente ispirate di tutti i tempi troviamo sicuramente i Corvus Corax, i quali calcano le scene dal 1989 e vantano di numerose band a loro ispirate (tra cui i validissimi e connazionali Faun) al proprio seguito.
I componenti del gruppo sono otto "Re dei menestrelli" (come loro stessi amano definirsi), ovvero musicisti molto abili (ma anche ottimi attori nelle proprie performance dall'alto tasso di teatralità) che, con l'ausilio di strumentazione originaria (tra fiati, percussioni e cornamuse, diventate ormai il vero e proprio marchio di fabbrica della band), danno vita a brani dal sapore ancestrale, non mistico ma concreto e quotidiano, dai ritmi forsennati e danzabili, distaccandosi in parte da quell'aura eterea che, con disarmante eleganza, adorna i lavori di tante altre band della scena musicale medioevale.
In realtà, quest'album è forse quello più dissimile dagli altri della discografia e fa leggermente eccezione ai principi di cui sopra. "Cantus Buranus" è infatti un'interpretazione (edita nel 2005) del famoso manoscritto in latino, per la registrazione della quale, oltre alla band, hanno collaborato un'intera orchestra sinfonica e tre cori misti, creando una dimensione sonora che nella sua riproposizione dal vivo (il live dvd allegato al disco purtroppo non è in mio possesso), ne sono sicuro, avrà le potenzialità per assumere connotazioni da opera magna, dal successo di scala mondiale. Eppure, sono sicuro che, allo stesso tempo, il successo non è una priorità per i Corvus Corax, in quanto la sincerità d'intenti nel creare un'iniziativa di tale portata è tangibile, così com'è evidente il loro viscerale amore per la musica e le tradizioni del Medioevo.
Come dicevo, "Cantus Buranus" è un'opera immensa, oserei dire mastodontica; riesce infatti a collegare tre dimensioni apparentemente molto distanti tra loro: quella della musica tradizionale (ampiamente sperimentata nei vecchi lavori dal gruppo tedesco) e quella della musica classica, aggiungendo al tutto un sapore moderno, quasi a fare da ponte tra la realtà temporale a cui la musica fa riferimento e quella in cui è stato composto e registrato l'album. Qualsiasi tipo di ascoltatore può avvicinarsi senza timore al disco: il rischio di annoiarsi è stato catapultato lontano. I Corvus Corax, da bravi menestrelli, sanno come mantenere costantemente viva l'attenzione della propria corte di spettatori. Così, ci ritroviamo ad avventurarci per quasi un'ora tra impervie strade musicali, fatte di severi ed imponenti cori ("Fortuna"), lunghe e rapsodiche cavalcate per cornamuse ("Dulcissima") ed epici tripudi di percussioni (sembra di prendere parte ad un dancefloor medioevale), come in "O langueo" e "Nummus", i brani più atipici dell'intera raccolta. Su tutti i pezzi in scaletta mi permetto però di segnalare "Sol solo", più lenta nell'incedere e tinta di malinconia, "Venus", così intrigante nel suo modulare alla perfezione i botta e risposta tra gli archi e le cornamuse che disegnano la linea melodica sulla quale si staglieranno sommi e travolgenti cori epici, e la conclusiva "Ergo bibamus" con i suoi oscuri presagi.
L'unico rischio che incorre durante l'ascolto è quello di perdere la testa; chissà che a qualcuno non venga in mente di creare una macchina del tempo, per tornare indietro verso epoche lontane, magari alla corte di un re reduce da una battaglia vittoriosa, tra banchetti che non hanno mai fine, dove dominano atmosfere festaiole, balli, canti e vino. Ma sarebbe un lavoro inutile, il Medioevo non è mai stato così vicino... e la corte applaude sentitamente questi bardi dell'era moderna! Cercando di rimanere coi piedi per terra, mi preme allo stesso tempo segnalare l'unico evidente limite di "Cantus Buranus", ovvero quello di far prevalere l'impatto e la maestosità sulla dimensione emotiva. Per questa ragione non ho potuto assegnare il massimo dei voti.
Ci troviamo in ogni caso di fronte ad uno dei più validi esempi di moderna riproposizione delle tradizioni musicali medioevali, ma se all'interno di una scena si è soliti andare sempre alla ricerca di sentimenti veri e propri, forse è meglio dare inizio all'esplorazione partendo da altri dischi.
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