Cory Branan è uno dei tanti segreti ben custoditi che gli Stati Uniti d’America possono vantare in ambito musicale; artisti originari di angoli “remoti”, relativamente parlando, artisti la cui proposta è un po’ troppo endemica per poter essere esportata all’estero con successo, e che nello stesso mercato interno rimangono prodotti più o meno di nicchia, nonostante una proposta tradizionale, che non si discosta affatto dai cari, vecchi canoni della Forma Canzone e da sonorità ampiamente collaudate e radicate nel tempo. Artisti che incidono per etichette indipendenti, ma per attitudine e proposta poco adatti anche per l’altro sentiero verso la fama, quello dell’alternativismo.
Cory Branan viene da un posto in cui non vivrei neanche se mi offrissero una villa con piscina: nord Mississippi, ai confini con il Tennessee; area rurale, impoverita, dimenticata dal tempo, Deep South che più Deep South di così non si può. Classe 1974, provetto chitarrista acustico, attivo dai primi anni ’00; dato che l’enigmatica ed intrigante copertina di quest’album è stata ideata da lui stesso direi che il suo talento creativo và anche oltre la musica. Tra l’altro immagine perfetta per rappresentare una proposta che affonda le sue radici nella tradizione ma ne offre un’interpretazione personale, di ampio respiro, non priva di un certo gusto per la teatralità e di un lieve tocco visionario.
“Mutt” del 2012 è un gran bel disco, che ovviamente consiglio: oltre ad ovvie influenze rock e blues offre anche folk ballads di impeccabile fattura, influenze gospel e western, arrivando anche a reminescenze gitane in un piccolo capolavoro chiamato “The Snowman”. Ovviamente c’è anche una base di rock radiofonico americano, un “southern” molto sui generis, molto riflessivo, poco rumoroso, senza accenti su alcuna connotazione “tecnica”. Un artista che ha molto da offrire, insomma, e la canzone che mi ha ispirato a scrivere queste righe da sola vale la mia ammirazione e gratitudine.
“There, There Little Heartbreaker” è , forse,una della più belle canzoni d’amore che mi sia mai capitato di ascoltare; dico forse perché sono tutt’altro che certo che sia effettivamente una canzone d’amore, anche se la prima impressione emotiva è sicuramente quella. Tutto nasce da una voce calda e roca, che qui arriva quasi a perdere il suo inconfondibile accento southern per meglio adattarsi alle sonorità e alla metrica proposta. Effettivamente da qualcuno che viene dal Mississippi rurale, e che comunque non è “scappato” in qualche circolo “chic” in California o a New York, ma è rimasto molto ancorato alle sue radici, questa non è proprio il tipo di canzone che ci si aspetterebbe. Orchestrazioni di gusto molto “classico”, ritmo in tre quarti, quasi da ninna-nanna, quasi da cantilena, un testo che offre immagini dolorose, tormentate, ma poco nitide, aperte a varie interpretazioni. Questa canzone scorre come un continuo susseguirsi ed intrecciarsi di echi, una meravigliosa e struggente melodia e una voce da brividi, propagate più volte, e ad ogni “giro” rapisce sempre di più.
Capolavoro, semplicemente, di un fascino e una bellezza senza tempo; “There, There Little Heartbreaker” non sarà mai famosa, è destinata a rimanere, come del resto il suo autore stesso, un segreto ben custodito, un tesoro che quelli abbastanza appassionati e/o fortunati da averlo trovato potranno godersi in santa pace. Piccola curiosità: l’ultimo album di Cory Branan si intitola “The No-Hit Wonder”; un nome, una vocazione.
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