Ragionando per assurdo - ma mica tanto - c'è una certa continuità logico-temporale tra il sonetto di Cecco Angiolieri ("S'i' fosse foco, ardere' il mondo"), la Tepco (Tokyo Electric Power Company) e un romanzo di Cormac McCarthy ("La strada"). Per farla breve, a Cecco sarebbe bastato essere la Tepco raggiungere l'obiettivo di vedere il pianeta terra così come l'ha dipinto Cormac: ombroso, evanescente, attonito, arso, pulviscolare. Le fantasticherie degli scrittori ora fanno nucleo di senso con la realtà. Tuttuno, senza apostrofo. Il significante "essere" ha preso la via dello svuotamento di significato. Un significato che va in polvere di fronte all'unica certezza che c'è. L'irreversibilità dei processi di produzione dell'energia nucleare. Una polvere, quella dell'umanità, che si disperderà nel cosmo. A partire dal Giappone. Dove suona la one man band Comsicdust.

Quanto scrivo può avere la valenza di una profezia da Nostradamus de noantri però, in fondo, immagino che nei giorni scorsi abbia fatto davvero tanto rumore la neve caduta nella prefettura di Fukushima, lì dove uno scenario apocalittico e surreale effettivamente verificatosi ha cambiato senso ad un altro pezzo di immaginario. Quella tipologia di surreale ora non è più tale, perde prefisso, diventa reale. Mutazioni genetiche in potenza, mutazioni di senso in atto.

Forse sensei Cosmicdust partiva da un presupposto dreampop per farne un avamposto nipponico. Ma proprio negli ultimi giorni, quelle scene, quelle cazzo di scene, hanno impressionato il sensore del mio scandaglio radiologico e mi hanno fatto pensare che, in tutta questa invisibile macelleria, in questo male dai tempi di processo di decadimento che il trittico epocale bipolare Angiolieri - Tepco / McCarthy (ovviamente contemporanei) è nulla al confronto, si può morire così, vedendo impazzire micronesime parti di noi, mentre tutto perde senso e gli Afterhours cantano con decadente gioia che nulla è per sempre. Ecco, ci si dia la possibilità di morire cucinati al microonde con un tappeto sonoro di sottofondo, di vederla in faccia e di percepirla come qualcosa di materiale, come l'allentamento della morsa che unisce gli atomi di cui siamo fatti, come un restituirci scientificamente, per via artificiale, alla natura o quel che l'è.

Cosmicdust vuol dire il solito mondo che ribolle di tremori e piccole angosce, di attimi di sudata gioia interiore e visioni di paesaggi battuti dalla notte e dalla fuliggine. Cosmicdust vuol dire briciole di speranza che seguono il percorso di un filo di Arianna che porta nel retrobottega del pianeta dove qualcuno lavora faticosamente per tenere in piedi il progetto vita dell'uomo. In questo album magmatico, surriscaldato da una colata di distorsioni bloodyiane, c'è un contatto diretto con la natura più immobile e quanto di industriale la sta invadendo. Il tutto spazzato dal vento dei riverberi che fa muovere l'invisibile della materia. In una parola shoegaze astratto e fuori corrente.

Forse, "Snow Noise Assemblage" è solo un piccolo album, anch'esso privo di senso. Ma l'ho ascoltato molto vedendo la neve coprire rumorosamente quel Giappone che si ritrova davanti ad un'oceano tutt'altro che pacifico.

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