Gli anni immediatamente successivi al periodo d'oro del Britpop furono caratterizzati da una notevole creatività; molti furono i gruppi che si formarono, pubblicarono magari uno o due dischi, ma con risultati veramente eccelsi.

Uno di questi sono stati i Cotton Mather, ragazzi del Texas che in questo secondo album intitolato "Kontiki" (si tratta del nome dell'imbarcazione di un esploratore norvegese che attraversò il Pacifico dall'America alla Polinesia) si crearono uno stile a tratti quasi innovativo. Appoggiato da un nome come Noel Gallagher, che lo giudicò uno dei migliori dischi degli ultimi dieci anni, da appassionato di Oasis e Britpop in genere, non potetti fare a meno di ascoltarlo, rimanendo piacevolmente colpito dalla freschezza di questo guitar pop melodico, a tratti psichedelico.

C'è da dire che ad un ascolto immediato e un po' superficiale il disco appare abbastanza retrò: il brano d'apertura "Camp Hill Rail Operator" fa pensare subito ai Byrds, mentre la seconda traccia, splendida ballata acustica, propone anche influenze di Rolling Stones... Ma il riferimento principale di questi quattordici brani sono prevalentemente i Beatles. E' evidente però, ad un ascolto più approfondito, la capacità dei Cotton Mather di "attualizzare" suoni e stili che hanno fatto la storia del Pop. E' come se avessero preso il meglio dei Beatles, e l'avessero separato da tutto ciò che potesse ricordare l'epoca degli stessi Beatles, per portarlo a convivere con le sonorità degli anni novanta a anche di più. Si ascolti al tal proposito la veloce "Password": sembra la versione Britpop di "Ticket to Ride", con una spruzzatina di punk... Stesso discorso per "She's Only Cool" e la straordinaria, ballata conclusiva "Autumn's Birds" che sembra la perfetta fusione tra "The Masterplan" degli Oasis e un pezzo lento dello "White Album" dei Beatles, il tutto associato a una personalissima concezione della "spiritualità" del brano in questione.

Perché, e vado a concludere, questo è un album molto spirituale. Le sue tracce formano un percorso sonoro che, come il viaggio del Kontiki, crea nell'ascoltatore visioni di varia natura ma di grande efficacia: si sente (e si vede) l'Inghilterra della rivoluzione industriale e dell'epoca Vittoriana; si sente l'America dell'ottocento, ovviamente gli anni sessanta, i novanta del Britpop e, forse, un tocco di futuro, come l'astronauta della copertina, senza privare il tutto di una leggerissima vena malinconica che rafforza ancora di più il valore espressivo dell'album.

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